Il professore insegna a tempo di rap

Alessio Mariani, 41 anni, docente al liceo Canossa, è ‘Murubutu’

Alessio Mariani, in arte Murubutu

Alessio Mariani, in arte Murubutu

Reggio Emilia, 4 dicembre 2016 – «Io da grande? Vorrei essere un bravo insegnante, mi basterebbe. Non è strano. Solo che tanti hanno un’idea del rap molto stereotipata».

Dice così, e forse non ha torto, Murubutu, al secolo Alessio Mariani, 41 anni («reggiano doc»), sposato, due figli, prof di storia e filosofia al Canossa di giorno e rapper «impegnato» la sera.

Lui, che è passato dai centri sociali dell’Emilia rossa con i suoi testi militanti della sinistra extraparlamentare, oggi parla di «rap didattico» e in classe fa ascoltare Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers di De Andrè, l’amico fragile, per raccontarla meglio, la storia.

Mariani, davvero sogna solo di fare il bravo docente?

«Vorrei scrivere un libro un giorno. Ma sì, anche diventare un buon insegnante mi basterebbe. Di quelli che un giorno qualcuno dica ‘sono ciò che sono anche grazie al mio prof di filosofia’».

A lei è successo lo stesso.

«Be’, se scrivo canzoni di certo lo devo anche alla mia professoressa del liceo, la Alvares, al liceo Moro. Era esigente, ma anche molto brava. Un giorno in classe stimolò la nostra creatività ‘scrivete ciò che volete’, disse. Io le sottoposi i miei primi testi, avevo cominciato presto. E lei, dopo averli letti, commentò: ‘Continua così’».

Ma perché proprio il rap?

«È un modo per dare sfogo alla mia creatività e, nel contempo, dare anche una connotazione culturale che determini una crescita. In un panorama fatto di rap d’intrattenimento, stereotipato e pieno di cliché provo a fare la differenza con questa formula originale».

Quindi insegna anche quando canta?

«Credo proprio di sì». (E sorride).

E la carriera tra i banchi?

«Una laurea in Filosofia a Parma, specializzato a Bologna, tre abilitazioni. Poi ho iniziato a insegnare nel 2001, da precario, al Russell, allo Jodi, al Tricolore, all’AriostoSpallanzani, al Galvani; infine sono arrivato al Canossa, nel 2011. Mi interessava farlo e faticosamente ci sono riuscito. Per fortuna sono andato di ruolo tre anni fa e ora sono nella classe di concorso che mi interessa, filosofia e storia».

La sua vocazione da artista comincia molto prima però.

«Sì, il primo demo a 17 con gli amici. E a Reggio siamo diventati i Kattiveria posse, hip hop militante di sinistra extraparlamentare. Suonavamo nei centri sociali. Poi la Kattiveria, dal 2000, un progetto più concettuale, culturale. Nasce nel 2006 ‘Dove vola l’avvoltoio’, dal testo di Calvino, con vari brani di rap didattico».

Ecco, appunto. Rap didattico?

«Utilizzare lo stile del rap e testi con connotazioni culturali che servano a trasmettere contenuti. Un esempio?L’armata delle tecniche Vol. 1 dove con forma di rap tradizionale spiego le figure retoriche».

E poi usa i suoi testi in classe?

«Non mi sembra il caso di fare ascoltare la mia musica ai ragazzi. Ma so che diversi colleghi di italiano li usano. Ho scritto anche di storia (La battaglia di Lepanto) o testi a sfondo mitologico Titanomachia, o il Re dei venti».

Non male avere un prof rapper. Che ne pensano i suoi studenti?

«I ragazzi sanno che ho questa attività artistica, mi è capitato anche di trovare miei fan tra loro. Ma il rapporto è assolutamente tradizionale».

E i colleghi?

«Non è strano tra insegnanti avere anche altre passioni artistiche. Comunque sono carini, qualcuno viene anche ai miei concerti. Ora canto da solo, il mio progetto da solista è nato nel 2009 e il 14 ottobre è uscito ‘L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti’».

Due anni fa il suo nome entrò nelle pagine di cronaca per una polemica sollevata da Forza Nuova. Ce l’avevano con un suo testo dedicato al brigatista Prospero Gallinari.

«Questa canzone, Martino e il ciliegio, è ispirata alla biografia di Gallinari, certo; mi interessava il rapporto dialettico fra contesto storico ed esistenza di un individuo. È antropologia, non un’apologia alla lotta armata. È la biografia di Prospero. Il resto è strumentalizzazione».

Però Reggio torna moltissimo nei suoi versi.

«Sì, ho scritto anche di Resistenza. Poi c’è Anna e Marzio, ambientata in via dell’Abbadessa. È la storia una donna che si innamora di un carcerato che ha la cella di fronte alla sua finestra. Nasce l’amore e quando lui esce decidono di sposarsi. Nel 2012 questo brano ha vinto il secondo premio al concorso nazionale per cantastorie, dedicato a Giovanna Daffini in provincia di Mantova. È tratto da una storia vera, me la raccontò mia madre».

Ma, una curiosità, che cosa vuol dire Murubutu?

«Deriva da Marabutto, che nell’Africa subsahariana designa una figura in grado di guarire mali fisici e sociali... ».

Benedetta Salsi