"Basta giornalismo, vado a vivere in Africa"

Stefania Rabotti si trasferisce in Kenya: "Realizzo un sogno: organizzerò safari"

Stefania Rabotti

Stefania Rabotti

Reggio Emilia, 21 ottobre 2014 - Il biglietto, stavolta, è di sola andata. Destinazione Malindi, Kenya. Stefania Rabotti chiude l’esperienza giornalistica e vola in Africa dove è diventata socia di un’agenzia che organizza safari.

Oplà, come ribaltarsi l’esistenza: quanto coraggio ci vuole, Stefania? «Il mio è amore. Fortissimo. L’Africa è nel mio cuore da quando ero bambina. Dopo che nel 2010 ha chiuso il quotidiano dove lavoravo (L’Informazione, ndr), si è chiuso un cerchio. Ero più spesso là che in Italia...». 

Un sogno quindi che arriva da lontanissimo... «Ai miei genitori lo dicevo sempre: voglio andare in Africa a studiare gli animali. E alle parole ho fatto seguire i fatti. In pochi lo sanno, ma sono etologa. Mi sono laureata in Scienze naturali a Parma col professor Danilo Mainardi, un’istituzione in questo campo. Poi la vita mi ha riservato strade diverse, ma i miei minimo due viaggi l’anno li ho sempre fatti».

La svolta quando è arrivata? «Tre anni fa e ha un nome di quattro lettere: Aiea che significa Associazione italiana esperti d’Africa. Ho partecipato a diversi corsi e dato l’esame, tostissimo, per diventare guida di safari, chiamata anche ranger. Ma se lo sono diventata il merito è soprattutto di Simone...».

Simone? «Mio figlio. E’ lui che mi ha fatto conoscere l’Aiea, dove ho trovato splendide persone come Davide Bomben e Massimo Vallarin. Simone ha fatto tutti i corsi in Sudafrica e oggi lavora là: ha 25 anni e da tre fa il ranger in una riserva privata». 

Vivrai quindi lontano da tuo figlio. «Simone è talmente felice che va bene così. Sono appena andata a trovarlo: sta benissimo e non ha nessuna voglia di tornare in Italia».

Ora tocca a te. «Ho preso casa a Malindi, in un residence, nell’appartamento sotto a quello dei miei soci, due italiani che vivono in Kenya da 20 anni. La parte prevalente della mia vita si svolgerà in giro per safari insieme ai turisti, il resto lo passerò a svolgere mansioni di ufficio».

Com’è il rapporto con la popolazione? «Splendido. E’ gente eccezionale: sempre sorridente, gentile. Non conosce lo stress. Sto studiando la loro lingua, lo swahili, perché mi sembra corretto nei loro confronti. Devo dire che è abbastanza complicato...».

In passato ci sono state violente rapine... «Come in ogni parte del mondo. Non è la terra dei pericoli come qualcuno vuol fare intendere. Sostenere questo è una forma di razzismo». 

Italiani? «Tanti a Malindi, dove infatti trovi tutto ciò che ti serve. Se vuoi la pasta Barilla, ad esempio, c’è. Anche il Parmigiano Reggiano, ma non certo buono come il nostro. Ogni volta che vado giù sono ‘obbligata’ a portarne alcune scaglie per gli amici». 

A tavola allora non ti cambia nulla. «Sbagliato. Pochissimo cibo italiano. Non mi manca casa mia. E non la cerco in Kenya».

La vita quanto di meno costa rispetto all’Italia? «Non c’è paragone. Almeno la metà». 

Non hai paura del virus Ebola? «C’è sempre stato. E’ il segnale che qualcuno ha degli interessi relativi ai vaccini. Ricordate l’aviaria? Sembrava dovesse uccidere mezzo mondo, invece...». 

Il giornalismo non ti manca? «Assolutamente no. E’ un mondo che mi ha deluso moltissimo. Ho fatto il mestiere con tanta passione, ma ho più dato che ricevuto. Scrivere mi piace molto: chissà, forse racconterò le mie esperienze africane in un libro». 

Tu sei stata prevalentemente una giornalista sportiva, in particolare seguivi la Reggiana. Chiedi del risultato granata quando sei in Africa? «Mi capita di andare a vedere com’è finita la partita, ma non è certo un’ossessione. Non scriverlo (ride, ndr), ma mi interessa più la Juventus». 

Ogni quando tornerai in Italia? «Per le vacanze (ride, ndr). Ma con i social network si resta in qualche modo sempre legati alle persone a cui vuoi bene».

Con la crisi economica e sociale pensi che in tanti possano seguire la tua strada? «Di persone che hanno cambiato vita ne ho conosciute, ma pochissimi italiani. Noi siamo bravi a parole, poi quando è ora di partire ci tiriamo indietro. In tanti che hanno seguito i corsi con me si sono comportati così. Non è facile».

Beh, facci almeno sognare: se uno vuole partecipare ai tuoi safari? «Non abbiamo catalogo, nessun pacchetto già pronto. Tu dici quanto vuoi spendere e noi organizziamo tutto. Consigliamo anche di fare un periodo al mare: ci sono posti splendidi. Trovate tutto sul sito internet: www.professionalsafaris.com».