La vita reggiana di ‘Kimberly’, il trans ucciso a Firenze

Manuel abitava in via Fratelli Cervi 38: «Gentile, mai un problema, aiutava i parenti in Brasile»

La palazzina della tragedia a Firenze

La palazzina della tragedia a Firenze

Reggio Emilia, 30 giugno 2016 - Lo conoscevano come ‘Kimberly’, qui a Reggio. Era il nome che usava per farsi riconoscere dai clienti e con il quale si faceva chiamare anche da chi, nella nostra città, lo conosceva. Manoel Gilberto Da Silva aveva un appartamento al terzo piano di via Fratelli Cervi 38: da qui faceva la spola a Firenze. Abitava da alcuni anni in un appartamento al terzo piano. «Era tranquilla, riservata, educata. L’ho sempre vista con i capelli lunghi – così ne parla, al femminile, una vicina di casa 43enne –. Credo che condividesse l’appartamento con più persone: dall’aspetto sembravano anche loro trans sudamericani». E pare che, secondo alcune testimonianze, anche tra queste mura ricevessero clienti: «A volte c’era via vai di notte, ma tutto avveniva in modo tranquillo e riservato. Quando ci incrociavamo sulle scale ci salutavamo: mai avuto un problema», racconta una donna che vive nello stabile.

Chi conosceva bene Manoel è la titolare del bar ‘Dì di sì’ apochi passi dall’abitazione. Bene, seppur Manoel mantenesse sempre un profilo di riservatezza sul proprio lavoro e sulle sue questioni personali. Antonietta Muto, 54 anni, lo vedeva spesso: «Manuel? Per me era Kimberly: così si faceva chiamare. Quando era in città veniva ogni giorno nel mio locale, a metà mattina, a prendere il caffè. Era dolce ed educata: mai avuto niente da dire». La titolare del bar e Manoel si conoscevano da tempo: «Quand’ho rilevato il bar, nel 2011, lei abitava già qui. Sapevo che andava e veniva da Firenze e che condivideva la casa reggiana, che era di sua proprietà, con ‘Barbara’, un altro trans sudamericano sui 40 anni. Poi aveva anche un appartamento a Firenze. Kimberly veniva qui tutti i giorni, ma non parlava mai della sua vita sentimentale e del suo lavoro. Però ci fermavamo a chiacchierare, soprattutto di trucco e di unghie».

Com’era Manoel? Anche la barista risponde al femminile: è spontaneo farlo per tutti coloro che l’hanno visto o conosciuto, osservandone i tratti del volto, il corpo, l’abbigliamento, ma anche i modi: «Era gentile, affabile ed educata. Ed era molto bella: alta più di un metro e ottanta, aveva un fisico da far voltare gli uomini – prosegue la barista –. Io le facevo spesso i complimenti: ‘Che bei capelli...‘. Erano lunghi e castani. Amava vestirsi con gonne lunghe e colorate».

Riservato, Manoel però amava parlare ogni tanto della sua famiglia di origine in Brasile, che aiutava. «Era generosa – prosegue Muto –. Mi aveva raccontato dei suoi fratelli, di suo padre che aveva avuto un problema alle gambe: lei spediva loro soldi e aveva aiutato il genitore a comprarsi una protesi». Forse gli incontri con i clienti servivano dunque a mantenere anche i parenti in patria. E forse aveva nostalgia. «Salutava, era gentile – racconta anche Fabrizio Pagliani, titolare di ‘Autoradio Bartoli’ –. L’ho riconosciuta in foto». È stato Bartoli ad andare ieri dalla barista e a raccontarle della tragica morte: «Quand’ho letto la cronaca e ho visto il suo volto, non ci volevo credere – conclude Muto –. Ha fatto una brutta fine e non se la meritava».