Reggio Emilia, 17 febbraio 2010. I lavoratori della «Mariella Burani Fashion Group» non credono più nella famiglia Burani.

Lo hanno chiaramente espresso durante il consiglio comunale aperto indetto proprio per discutere sulla crisi dell’azienda cavriaghese.

Alcuni lavoratori presenti in sala, hanno apertamente contestato anche il sindaco Vincenzo Delmonte, quando nelle sue conclusione ha affermato che: «Credo di interpretare il sentimento popolare dei cavriaghesi, secondo voi può esistere la Mariella Burani fashion group senza Mariella?».

«Il sentimento di chi ci lavora è diverso» ha gridato una dipendente. «Certamente che l’azienda può fare a meno della famiglia Burani,con quello che hanno fatto!» ha aggiunto Luca Ficarelli della lista Cavriago Comune tra gli applausi dei dipendenti.

Questo il clima che si è respirato nella serata cavriaghese dedicata all’azienda della famiglia Burani.

Va detto anche che anche la politica sta subendo uno scollamento fra l’amministrazione locale e la famiglia Burani, fino ad ora preservata in qualche modo da attacchi sulla gestione dell’azienda.

Tutti indistintamente, seppur con toni diversi, hanno chiesto ai Burani di mettere i propri soldi nell’azienda così come promesso da mesi.

Lo ha chiesto anche l’ordine del giorno votato all’unanimità: si chiede «alla famiglia Burani di mettere in campo tutte le risorse disponibili e un concreto impegno per dare un futuro al Gruppo Mariella Burani salvaguardando i livelli occupazionali e il patrimonio tecnico-industriale dell’azienda».

Uno degli interventi più incisivi è stato quello del vice presidente della Provincia Pieluigi Saccardi. «La provincia è da tempo preoccupata per la situazione. Ma qua ci sono responsabilità personali. I Burani sono chiamati a versare i 70 milioni di euro. Le disponibilità liquide ci sono», ha asserito.

Lo stesso Saccardi ha manifestato le proprie perplessità sulla possibilità che possa essere accolta la messa in atto della «legge Marzano» da tutti i presenti invocata come la migliore soluzione possibile al momento per la tutela dei dipendenti.

Anche in questa circostanza una delle prerogative di questa legge è che gli amministratori chiedano al Governo l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.

Anche Mario Poli consigliere provinciale dell’Udc ha espresso solidarietà ai lavoratori dell’azienda, e individua all’origine della crisi di questo gruppo, pesanti responsabilità, oltre che nella proprietà, anche nei vertici delle banche che, a suo dire: «Hanno consentito, seguendo logiche di semplice profitto, la rischiosa e costante politica di multi acquisizioni industriali del gruppo Burani».

Concreto è stato l’onorevole Angelo Alessandri che ha dato la propria disponibilità prendere parte alla riunione di giovedì presso il ministero dello Sviluppo Economico, invitando a fare altrettanto gli altri parlamentari reggiani, per cercare una via d’uscita più indolore possibile.

Mentre l’assessore all’urbanistica Mirko Tutino ha assicurato che mai ci sarà speculazione edilizia sulle proprietà dell’azienda o della famiglia Burani, rispondendo al consigliere Davide Farella che aveva ventilato una possibile speculazione in una ipotetica alienazione di queste proprietà qualora la situazione precipitasse.


 

 

PRESSING SUI BURANI PERCHE' LASCINO L'AZIENDA

Un passo indietro della famiglia Burani. Lo chiedono i lavoratori e lo domanderebbe pure il curatore fallimentare di Burani Designer Holding (la controllante dell’impero dei Burani), Diego Moscato, che avrebbe già sondato altri consulenti e professionisti coinvolti nella vicenda.

Anche Gabriele Fontanesi, amministratore delegato della controllata Mariella Burani Fashion Group, ha fatto capire che i Burani potrebbero lasciare il timone dell’azienda. Ieri, in un’intervista al nostro giornale, ha detto in proposito: «Credo che la risposta la famiglia l’abbia già data decidendo di non ricapitalizzare. Le banche, se accetteranno la proposta di concordato, assumeranno un ruolo fondamentale dentro l’azienda».

Moscato sarebbe giunto alla conclusione che l’unico modo per poter far sedere attorno a un tavolo gli istituti di credito e discutere del concordato preventivo, è che la famiglia Burani faccia un passo indietro. In effetti Walter Burani non ha mai versato i 50 milioni di euro (poi diventati 60) promessi alle banche.

La rinuncia al ruolo di presidente del consiglio di amministrazione, da parte di Walter Burani, fu posta anche dai consulenti Tatò e Morselli come condizione necessaria per accettare il ruolo di advisor finanziario dopo l’addio di Mediobanca.

Intanto i tempi stringono. La famiglia Burani e l’ad Gabriele Fontanesi spingono per accedere al concordato preventivo che consentirebbe ai Burani di mantenere il controllo sull’azienda e forse anche sulle società controllate, prima fra tutte Antichi Pellettieri.

Una riunione del Cda è in programma domani per dare l’ok al piano di ristrutturazione. Sul fronte opposto, i politici e i sindacati che premono per l’applicazione della legge Marzano e per l’arrivo di un commissario straordinario.

Su questo aspetto, come del resto sul concordato preventivo (che richiede anche il via libera delle banche creditrici), deciderà il tribunale di Reggio il 16 marzo. I rappresentanti dei lavoratori si incontreranno domani con il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, per perorare l’applicazione della Marzano.