Reggio Emilia, 24 novembre 2010. Due colpi di pistola: uno all’addome, l’altro al gluteo. Sparati a Vito Lombardo, 62 anni, imprenditore edile di origine cutrese, ferito a duecento metri dalla sua abitazione, in via Filarete a Coviolo. L’agguato ieri sera pochi minuti dopo le 20 in via Nubi da Magellano, la strada che conduce alla sede di Iren (che proprio l’altro ieri ha revocato gli appalti ad un consorzio di ditte alle quali la prefettura ha negato l’«antimafia»).

Probabilmente Vito Lombardo, che a parte un vecchissimo precedente di polizia per gioco d’azzardo, risulta persona incensurata, è stato attirato in quella zona isolata da chi poi gli ha sparato. Quasi sicuramente qualcuno che conosceva.

Un’esecuzione mancata e facilmente non opera di un professionista, visto che i colpi non hanno raggiunto organi vitali. Anche se l’imprenditore cutrese deve ringraziare chi lo ha soccorso se non è morto per dissanguamento. E’ stata infatti una telefonata al 118 da parte di un giovane extracomunitario di origine africana a far scattare i soccorsi.

«C’è un uomo ferito a terra», ha detto lo straniero che transitava in auto (con lui la moglie e la figlia piccola) da Coviolo. Gli operatori del 118 hanno trovato Lombardo (che è sempre rimasto cosciente) sulla pista ciclopedonale e dopo le prime cure hanno capito subito che l’uomo era stato raggiunto da colpi di pistola. I carabinieri si sono proiettati alla rotonda tra via Fratelli Rosselli e via Ungheria per fissare la scena dell’agguato. Non permettono a nessuno di avvicinarsi. «Deve arrivare la scientifica», spiegano.

I carabinieri si fanno indicare dal testimone il luogo preciso in cui è stato ritrovato Lombardo. Inizia la caccia anche al più piccolo particolare che possa essere utile alle indagini. I militari sollevano i tombini e perlustrano la siepe che divide la pista ciclopedonale dalla strada. Cercano i bossoli. Perché sicuramente Lombardo è stato colpito dove è stato trovato. Nei pressi ci sono le gru del cantiere dove sta costruendo abitazioni.

Dagli appartamenti, gli abitanti scendono in strada. Nessuno sembra aver visto o sentito niente. «Ci siamo accorti che era successo qualcosa solo quando è arrivata l’ambulanza», dice una signora le cui finestre affacciano proprio sul luogo della sparatoria.

Mentre i carabinieri transennano la zona con il nastro bianco e rosso, intorno si formano piccoli gruppi di calabresi, anche loro imprenditori edili. «Se è il Lombardo che conosco io — dice uno di loro — è una brava persona. Però, è strano qui non ci viene mai a passeggiare». Tre di loro erano poco prima al «Centro Insieme» della Canalina a giocare a carte. «Ha ricevuto una telefonata dalla moglie intorno alle 19,30, che lo chiamava per la cena - raccontano - Lui è salito sulla sua Mercedes (di ultimo tipo e che fino a ieri sera non era stata ritrovata) e ci siamo salutati. Poi abbiamo saputo». A casa non è mai arrivato. Si è invece incontrato con qualcuno che poi gli ha sparato. Gli amici sono sconcertati. «E’ una cosa assurda: Vito è una persona onesta, un gran lavoratore. E’ a Reggio da oltre 40 anni. La moglie? Si chiama Bonaccio, ha 60 anni, e non è parente con quello che fu arrestato con Paolo Bellini per i fatti di sangue degli anni Novanta (bomba al bar Pendolino, ndr). Tutta la famiglia di Vito, che ha tre figlie, è formata da persone oneste». Vito nel Reggiano ha due fratelli più grandi di lui: Alfonso, che abita incittà e ha gestito fino all’estate scorsa il bar «River» di via Dalmazia, e Antonio, che risiede a Gualtieri e fa pure lui il costruttore edile.