Reggio Emilia, 25 maggio 2011 - «Reggio viene definita il “salvadanaio della ‘ndrangheta”. Nonostante questo ci sono poche inchieste, pochi riscontri investigativi». Antonio Nicaso, giornalista e scrittore, è uno dei massimi esperti internazionali di ‘ndrangheta. Sarà a Reggio per la tre giorni del Festival «Noicontrolemafie 2011» — di cui è l’ideatore e direttore scientifico — che comincia domani fino a domenica.
Nicaso, in questo periodo si parla molto di mafia a Reggio. Forse anche grazie alle interdittive del prefetto Antonella De Miro.
«Sta facendo un ottimo lavoro portando alla luce una situazione che per troppo tempo è stata sottovalutata. È un prefetto che va sostenuto e incoraggiato perché i frutti del suo lavoro sono una boccata d’aria fresca rispetto al passato».                                                                                                                                                                                         Di fatto sta applicando gli strumenti che le vengono dati dalla legge.
«Come la De Miro, in Italia ci sono altri prefetti che svolgono il loro lavoro. Però esistono altre realtà. A Parma il prefetto ha negato la presenza della mafia (un’interdittiva del prefetto di Reggio ha bloccato i subappalti di due aziende con sede a Poviglio per la stazione di Parma, ndr). A Milano ha detto che la mafia non esiste. In questi contesti, la normalità del lavoro di contrasto alla criminalità organizzata diventa rivoluzionaria».
E la politica come si inserisce in questo panorama?
«A Reggio ho notato un interesse crescente. La presidente della provincia Sonia Masini mi ha fatto vedere quello che sta facendo: si stanno dando da fare per capire quello che ruota intorno all’economia reggiana, per cercare contromisure. Ora c’è una maggiore sensibilità, dopo decenni di sottovalutazione».
A cosa è dovuta questa sottovalutazione?
«Non credo a collusione, piuttosto all’ignoranza del fenomeno».
Ora com’è la situazione della criminalità organizzata a Reggio?
«Nella relazione della Direzione nazionale antimafia e in quella semestrale della Commissione parlamentare antimafia si è parlato anche di Reggio come «salvadanaio». Qui la ‘ndrangheta è poco visibile perché si concentra sugli investimenti, si inserisce nei flussi finanziari. La ‘ndrangheta non investe, invece, al sud perché deve tenere quel territorio nello stato di bisogno, altrimenti non ha senso di esistere».
Come entra nelle aziende del nord?
«Semplicemente acquista quote di minoranza di aziende in difficoltà, diventa compartecipe all’impresa».
In quali settori si insinua principalmente?
«Ci sono quelli storici dell’edilizia e dell’immobiliare. Ma la criminalità tende a diversificare le attività. Ha sostanzialmente bisogno di “scontrinifici”, cioè attività commerciali come ristoranti, negozi, centri commerciali, discoteche, night club, che permettano di produrre scontrini. In questo modo inseriscono nelle casse i soldi delle attività illecite, li riciclano».
In periodi di crisi la criminalità entra nell’economia anche attraverso l’usura.
«È una delle attività più redditizie al nord. Mentre al sud si chiede il pizzo, per cui è necessario un minimo di violenza, al nord non bisogna far rumore. Quindi si è diffusa l’usura».
Può essere praticata da singole famiglie malavitose o è strutturata in maniera verticistica?
«In Calabria nessuno può far nulla senza il consenso del boss. Al nord il territorio non è controllato in modo così capillare. Le famiglie cercano di inserirsi dove c’è spazio. Non c’è un regime di monopolio, perché per crearlo serve la violenza, che ovviamente attira l’attenzione delle forze dell’ordine e fa saltare gli affari. Al nord si preferisce stringere accordi economici, anche tra diverse mafie per riuscire ad aggiudicarsi appalti e subappalti».
A proposito di appalti, alcune aziende che hanno ricevuto l’interdittiva del prefetto lavoravano da anni anche per opere pubbliche.
«Affidare i lavori a ditte vicine alla ‘ndrangheta è più conveniente. Garantiscono manodopera a basso costo, utilizzano spesso materiali scadenti e, quindi, sono più concorrenziali».
Nel reggiano si è sempre pensato che la ‘ndrangheta riguardasse ditte calabresi. Con l’usura e l’acquisto di quote societarie anche le aziende reggiane doc non sono esenti dal rischio infiltrazioni.
«Quando uno bussa alla porta ci deve essere qualcuno che apre. Sciascia parlava della “linea della palma” che dal sud si radicava al nord. Io penso che a questa vada unita la “linea della stella alpina” che dal nord scende al sud. Sono due mondi solo apparentemente diversi che si incontrano e fanno affari. Non basta che elementi della ‘ndrangheta si stabiliscano in un luogo, devono avere anche qualcuno che li metta in contatto con il tessuto economico locale».