Reggio Emilia, 27 giungo 2011 - Che le esponenti del gentil sesso siano «predisposte geneticamente» al senso di colpa è arcinoto. Ma che, percentualmente, quelle che popolano i comuni della provincia reggiana siano sempre più spesso colpite dai mali endemici della «società liquefatta», l’ansia e gli attacchi di panico, è un’allarmante novità. A stilare la classifica dei disturbi destinati a sfociare nelle patologie che affliggono le esistenze delle over 35 emiliane è uno specialista, Antonio Luce, psicologo, formatore e presidente di Istituto Formazione Sinergica a.c., nonché esperto del linguaggio della menzogna. Già consulente per le indagini sul clamoroso caso di Avetrana - «il corpo non mente mai, basta saperlo interpretare» ripete come un mantra - di recente è stato ospite di Federica Panicucci a «Mattino5». Chiamato in causa sulle menzogne dei «reclusi» nella casa del Grande Fratello, ché il test della macchina della verità si è rivelato fallimentare, ha ribadito l’importanza di «saper leggere i traumi personali osservando la lingua del nostro corpo». La fotografia del malessere di molte donne emiliane è il frutto dei suoi corsi di self-help (auto-aiuto), in diverse città della provincia reggiana - da Rolo a Correggio, passando per Reggiolo - rivolti a tutti con l’intento di fornire ai partecipanti l’abc per imparare a gestire gli effetti collaterali dello stress quotidiano.
Dottore, qual è il dato eclatante del suo bilancio?
«E’ emerso un fattore interessante nella provincia reggiana: soprattutto le donne di età compresa fra i 37 e i 50 anni, in una percentuale piuttosto alta, e cioè del 10%, sono fortemente ansiose».
Quali sono i fattori scatenanti di ansia e panico?
«In questo target prevale uno schiacciante senso di colpa dovuto, in molti casi, ad interruzioni di gravidanza sia volontarie sia spontanee. Eppoi sensi di colpa nei confronti dei figli, magari per un matrimonio naufragato per via dell’infedeltà del marito. Succede spesso che i figli, specie se piccoli, non sappiano discernere la realtà delle cose, quindi siano portati a incolpare della ‘cacciata’ di casa del papà, la madre. Vista a mo’ di ‘strega cattiva’, paradossalmente si carica di tensione al fine di proteggere la prole, spinta dall’istinto materno. Questo però, può scatenare attacchi di panico».
Mentre riguardo alla perdita di un figlio?
«In riferimento all’aborto spontaneo faccio sempre un parallelismo con ‘Rocky II’. Nel film, Adriana, per sopperire a difficoltà economiche, riprende a lavorare nel negozio di mangimi. Un giorno accusa un malore, sviene, dopodiché finisce in coma. E’ al terzo-quarto mese di gravidanza così, sfortunatamente, perde il bambino. Si rende conto che, se fosse stata a riposo - nella pellicola solleva carichi pesanti - probabilmente la gravidanza sarebbe andata liscia. In caso di interruzione volontaria, invece, la percentuale di attacchi di panico è minore, ma spesso l’atto in sé viene vissuto alla stregua di un vero e proprio omicidio».
Lei fa riferimento anche al cosiddetto ‘complesso dell’utero vuoto’. In cosa consiste?
«E’ una specificità della donna single che si ritrova alla soglia dei 40 avendo dedicato una vita intera alla carriera. Diventa facile preda di elucubrazioni, anche perché è portata a paragonarsi alle amiche già convolate. E s’arrovella - “In cosa ho sbagliato?” - facendosi prendere dallo sconforto - “non potrò mai più avere un figlio...” - anche perché è consapevole che la ‘bomba biologica’ della fertilità comincia a scemare. (Chi non ricorda l’avvilente cena della Single del grande schermo, l’antieroina anima sola Bridget Jones? Nel corso di match impari, che la vede sola al desco con coppie sposate o in procinto di sfornare bebè, quel “Tic tac – tic tac, Bridget!” diventa un tormentone, ndr). Questo disturbo è molto spiccato qui nel Reggiano, regno incontrastato della donna imprenditrice in svariati settori: dalla commerciante all’artigiana evoluta, a colei che lavora nel maglificio o che sta alla plancia di un’azienda. Succede che si riscopre ‘femmina’ dai 37 anni in su e, rosa dal tarlo del “dove ho sbagliato”, comincia a vacillare fino ad andare letteralmente in crisi».
E come si manifesta questo cortocircuito emotivo?
«Sotto forma di insonnia maturata dalla convinzione di essere ormai ‘fuori dai giochi’ e, una volta in tilt, ecco che compare l’ansia. Il panico da aborti, invece, colpisce in percentuale maggiore in Romagna e in Toscana».
E per l’uomo?
«Nel caso maschile, l’ansia è il frutto della perdita del lavoro, pertanto del suo ruolo di pater familias, che gli scatena un senso di inadeguatezza. Qui, per fortuna, meno avvertita rispetto a città del Nord quali Milano e Torino, oppure dovuta al senso di abbandono se il matrimonio è al capolinea».