Reggio Emilia, 25 aprile 2012 - UN INDAGATO per l’omicidio Rombaldi. Vent’anni dopo. La notte tra il 7 e l’8 maggio 1992 il chirurgo Carlo Rombaldi venne ucciso a colpi di pistola davanti al garage del palazzo in cui abitava, in via Fabio Filzi. Un delitto che era ormai annoverato tra i casi irrisolti della nostra città. Ma ora, per la prima volta dopo vent’anni, una persone è stata iscritta nel registro degli indagati per omicidio volontario.
Si tratta di Pietro Fontanesi, 65 anni, agente della polizia municipale in pensione e, all’epoca dei fatti, vicino di casa di Rombaldi.

Una pista investigativa che il sostituto procuratore Maria Rita Pantani, che coordina le indagini della squadra mobile, sta ancora verificando in tutti i suoi dettagli, vista la gravità dell’accusa e gli anni passati dalla tragica morte del medico. Da parte sua, Fontanesi, difeso dall’avvocato Giovanni Tarquini, nega ogni responsabilità.

ROMBALDI quel giovedì 7 maggio 1992 era andato come ogni mattina al lavoro all’Arcispedale Santa Maria Nuova. Nel pomeriggio era stato visto giocare insieme al figlio più piccolo vicino a casa. Poi si era preparato ed era uscito per un convegno medico in programma alle Fiere di Mancasale. Al termine, con un gruppo di colleghi, era andato a mangiare una pizza «Da Donato». Verso mezzanotte aveva salutato gli amici per tornare a casa. Quaranta minuti dopo veniva soccorso davanti al suo garage, ferito da un proiettile che gli aveva trapassato un polmone. Altri due colpi si erano conficcati sul portone dell’autorimessa. Rombaldi morì poco dopo in ospedale. Proprio su questo lasso di tempo si è concentrata l’attenzione degli inquirenti. Dopo aver salutato gli amici, Rombaldi ha impiegato pochi minuti per arrivare sotto casa. Cosa è successo nella mezz’ora successiva? Impossibile che una persona rimanga in piena notte fuori dal suo garage per tutto quel tempo se con lui non c’è nessuno. Quindi, con chi era?

Secondo l’ipotesi investigativa, si era fermato a parlare con Fontanesi. Quella sera, in base a quanto ricostruito dagli inquirenti, i due avrebbero litigato, per motivi ancora da chiarire. Poi Fontanesi sarebbe salito in casa per prendere la pistola, mentre Rombaldi apriva il garage e parcheggiava l’auto, ovviamente ignaro delle intenzioni del vicino. Gli spari, provenienti da una P38 special, hanno colto il medico alle spalle, lasciandolo sotto casa in fin di vita. A distanza di anni, si è ricostruito che l’ex agente della municipale era in possesso di una P38 sulla cui disponibilità avrebbe dato agli inquirenti versioni discordanti. Quando l’arma è stata venduta, gli inquirenti sono risaliti a lui.Rimane da verificare se quella pistola sia l’arma del delitto.

QUESTA importante svolta investigativa arriva dopo vent’anni di indagini e di piste che si sono dimostrate vicoli ciechi. Si è pensato subito a uno scambio di persone. Ma l’ipotesi non era convincente: Rombaldi è stato ucciso proprio davanti al suo garage. Una delle piste più seguite è stata quella di un delitto maturato nell’ambito della sua professione medica. Forse un’invidia professionale o un paziente che non si riteneva soddisfatto delle cure ricevuto. Ma anche in questo caso non è emerso niente: Rombaldi non era un ambizioso e solo un giovane nomade aveva protestato per l’amputazione di una gamba, ma si è escluso c’entrasse con il delitto. Depennata anche la pista di una doppia vita del medico.

Rombaldi, come raccontato dai familiari e confermato dai colleghi, era tutto casa e lavoro. Non era stato preso in considerazione nemmeno un tentativo di rapina finito male: la vittima, quando è stata soccorsa, aveva ancora al polso il suo Rolex d’oro e in tasca il portafoglio. Si pensava anche che il chirurgo fosse stato seguito dal suo killer fino davanti al garage dove lo aveva ammazzato. Invece, secondo questi ultimi risultati investigativi, pare che Rombaldi abbia trovato l’assassino davanti al palazzo di via Filzi. E ora il presunto responsabile ha un nome, anche se le ipotesi investigative sono ancora tutte da dimostrare.

di Sabrina Pignedoli