Reggio, 27 novembre 2012 - «LA ‘NDRANGHETA? È una cosa che si mangia? Noi non sappiamo nemmeno cosa sia».
Rocco, Gaetano e Franco Muto (da destra nella foto), proprietari dell’azienda edile Cefm, intendono fare chiarezza sull’incendio del loro furgone, avvenuto davanti alla sede della ditta in via Grimaldi a Codemondo.
 

«Era un furgone fermo da tempo che vale zero. E non è detto che l’incendio sia doloso», precisa Franco Muto.

Ma il procuratore capo Grandinetti ha detto che per l’episodio è stata interessata la Direzione distrettuale antimafia di Bologna?
Franco: «Anche se fosse doloso, può essere stato chiunque. Si è parlato di racket, di ‘ndrangheta, ma non è vero. Può essere stato anche un atto di vandalismo o un piromane».
Rocco: «Il cancello automatico è aperto da un mese, perché è rotto. Può essere entrato chiunque».

Ma voi avete un’idea su chi possa essere stato?
F: «Assolutamente no. Noi lavoriamo tutto il giorno. Cantieri piccoli per privati, soprattutto. Ora siamo a Lerici per una ristrutturazione e siamo via tutta la settimana».
Gaetano: «Forse con tutti questi provvedimenti, qualcuno che sa che hai lavorato sempre regolarmente vuole metterti in cattiva luce».

Il presidente del tribunale Francesco Maria Caruso ha detto che quando le vittime degli incendi riferiscono di non avere idea di chi possa averli colpiti vuol dire che sotto c’è un’estorsione. Voi siete estorti, siete minacciati?
F: «No, assolutamente no» (gli alti annuiscono).

Nei confronti di lei, Rocco, e di suo figlio Giuliano è stato emesso un provvedimento di divieto a detenere armi.
R: «È vero ma ancora non so perché. Io il provvedimento non l’ho visto».

Nella sentenza del Tar si parla di frequentazioni con persone «oggetto di indagini antimafia».
R: «Mi dicano allora chi sono queste persone: perché ci vogliono anche le prove. Andate a vedere il mio casellario giudiziale: non è pulito, di più. Io non frequento nessuno».
F: «Quando usciamo siamo sempre tra di noi fratelli o nipoti. Nessun altro».
R: «‘Ndrangheta. Ma poi cos’è sta ‘ndrangheta? Noi siamo venuti a Reggio da bambini: io avevo 12 anni, lui (indicando Franco, ndr) 2 e mezzo e lui (Gaetano) 14. I nostri figli sono nati qui, non ne sappiamo niente di queste cose».

Quindi non ha idea del motivo del provvedimento di divieto di detenere armi?
R: «Qualcuno ha detto che abbiamo partecipato alla cena con Pagliani (Giuseppe, capogruppo del Pdl in consiglio Provinciale, ndr), ma si saranno sbagliati con un altro Rocco: Gualtieri. Io non so nemmeno come sia fatto Pagliani».
F: «Noi di politica non ci interessiamo: pensiamo solo a lavorare».

Ma vostro fratello Antonio c’è andato.
F: «Lui sì, perché si parlava di lavoro, di banche, di crisi. E comunque era solo una cena in un ristorante. Noi però non siamo andati».
G: «Io non me ne capisco niente di politica. E alle cene dei politici non vado perché poi vogliono il voto. E io il voto non lo vendo, lo do a chi mi sta più simpatico».
F: «Poi non capisco perché sono stati presi provvedimento solo per alcune persone. Gli avvocati e i politici che hanno partecipato non ne hanno ricevuti. Perché?».

L’attenzione sulla criminalità organizzata qui a Reggio è molto alta, cosa ne pensate?
G: «Tutto troppo gonfiato».
F: «Ci sono tutti questi esperti che parlano di criminalità, ma se sanno dov’è perché non la vanno a prendere?».

 

 

Sabrina Pignedoli