Reggio Emilia, 7 maggio 2013 - QUANDO vi diranno che la giustizia italiana va riformata, non lasciatevi distrarre da tante polemiche dove ognuno cerca di tirare la riforma verso il proprio codice d’interesse personale. La giustizia va riformata in primo luogo per affermare la giustizia. E il primo modo è garantire tempi congrui e rispettosi nei procedimenti. Di fronte al caso di una donna uccisa, di un uomo che confessa, di una richiesta di rito immediato — modalità studiata apposta per accelerare i tempi di una giustizia storicamente in affanno — è difficile giustificare un incaglio che non permetta di arrivare rapidamente almeno alla fissazione della prima udienza, utile anche per non scivolare come in questo caso nella scarcerazione per decorrenza dei termini. Una fine che non può che ferire i familiari di chi è stato ucciso.

L’efficienza della giustizia non è solo una regola algebrica, ma un diritto da riconoscere ai cittadini, siano essi vittime, siano colpevoli o semplicemente in attesa di giudizio. In questo caso, poi, la gravità del reato e l’allarme sociale collegato alla scia di «femminicidi» che ha sconvolto il Paese, deve richiedere una particolare attenzione da parte degli uffici giudiziari. E’ vero, la procura ha chiesto è ottenuto misure come l’obbligo di dimora e di firma, tuttavia resta l’incomprensibilità di un tempo troppo lungo e ingiustificato agli occhi di chi è parte offesa. Risolvere questo nodo, impendendo alla giustizia di essere un meccanismo che si inceppa per questioni di busillis, è forse un piccolo passo sul piano dei codici penali, ma è un grande passo avanti per la nostra nazione.

Davide Nitrosi