Reggio Emilia, 23 marzo 2014 - E' Gabriella (53 anni, a 52 la diagnosi) la prima voce che ascoltiamo. Quel giorno in cui ha appreso 'la notizia'. “Sono in auto. Cerco di sopravvivere. Sono trascorsi solo due mesi dalla coltellata della separazione. Sto andando a scuola, cerco di prepararmi alla confusione, all’energia dei bambini che mi travolgerà trascinandomi fastidiosa e lontana rispetto alla mia. La mia, una giornata di porte che si aprono e si chiudono. Il mio unico obiettivo è quello di rimanere in piedi adottando la strategia dei piccoli passi. E’ così che si conquista una giornata e si arriva a sera. Sto guidando, attraverso stradine di campagna in grado di darmi un po’ di pace prima del soffocante spazio della città. Squilla il cellulare. Sul display appare un numero che non ho in memoria, ma che la mia mente ha già interpretato: è il numero dell’ospedale.

Strano come in un secondo la mia mente riesca a produrre decine, centinaia di pensieri. Il cellulare continua a squillare e ricordo di aver fatto una mammografia la settimana prima. Ricordo la sensazione inquietante di nausea e vomito impellente dopo averla fatta e la voglia di scappare al più presto dall’ospedale anche se tutto era stato estremamente tranquillo.

Davanti ai miei occhi l’immagine di quel foglio, attaccato con una calamita al frigorifero e la data dell’appuntamento dello screening, in grassetto. Ricordo di averlo preso tra le mani e di aver detto: ci mancherebbe solo questo! Il telefonino continua a squillare: rispondo e una voce si accerta di parlare proprio con me. La chiamiamo per ulteriori accertamenti a seguito della mammografia. La aspettiamo domani pomeriggio subito. Il terrore mi spinge a supplicare quella voce affinché mi dica di non preoccuparmi, ma asetticamente la voce mi dice che esiste un problema di privacy e non si può dire niente. Non so ancora niente, ma la mia vita si colora di terrore e di angoscia.

E’ uno shock. E qui adesso non si scherza! Non vedo più niente, e con le ultime forze rimaste cammino fino alla classe. Non sento i bambini, non li vedo. Chiedo a un collega di sostituirmi, vado in bagno, mi guardo allo specchio per capire che è tutto vero, che sta capitando a me!! Mi torna alla mente un sogno fatto qualche notte prima quando chiedevo alla parrucchiera di rasarmi a zero i capelli per essere pronta per la chemio.
Faccio qualche telefonata e invio un messaggio al mio amico chirurgo, gli dico che sono terrorizzata, gli chiedo aiuto.

Vorrei solo che mi dicesse che va tutto bene. Entro in aula, cercando una normalità, dopo poco nella tasca dei jeans vibra il cellulare, lascio la classe e mi precipito fuori per rispondere: C’è qualcosa. E’ inutile che ti dica che va tutto bene perché non voglio illuderti. Non sai quanto mi dispiace, non avrei mai voluto darti questa notizia, non a te, non in questo momento. Ti aspetto domani. Ci sono! Sono nel tunnel… inizia un percorso di analisi, attese, paure, speranze, angosce.In un attimo, un dolore ancora più forte ha spazzato via la fine del mio matrimonio”.