Reggio Emilia, 25 aprile 2014 - Nell'agosto di sette anni fa una donna di 47 anni moriva in seguito a un attacco di cuore. Cardiomiopatia ipocinetica-dilatativa, la malattia diagnosticata: per contrastarla i cardiologi, già diversi mesi prima, avevano ritenuto la necessità di impiantarle un pace-maker.

Ma l’intervento non fu realizzato in tempo utile, sebbene a marzo un medico, dopo aver rivisto la donna, avesse riportato questa frase: «La paziente verrà contattata telefonicamente per la data di ricovero per impianto di Icd+Ctr» (sorta di defibrillatore che interviene in caso di attacco cardiaco). Si sarebbe potuto evitare il decesso? Forse sì, forse no: le condizioni della donna infatti erano davvero drammatiche.

Ne è sortita comunque una causa civile che si è appena conclusa con una sentenza di condanna per «perdita di chance». Il giudice Gian Luigi Morlini ha stabilito che l’ospedale di Reggio deve risarcire i congiunti che non hanno avuto la possibilità di continuare a convivere con la parente. E per questo, l’azienda ospedaliera dovrà pagare 60mila euro alla madre della defunta, e diecimila euro a testa ai tre fratelli, l’affetto deve essere risarcito.

I problemi al cuore, per la paziente, si erano manifestati in modo drammatico fin dal 2006. Per questo motivo, il 21 novembre di quell’anno la donna si era sottoposta a una visita ambulatoriale all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Uno specialista aveva scritto una lettera ai colleghi della cardiologia di Reggio, «concordando sulla valutazione di impianto Icd+Crt».

A una visita di controllo del gennaio successivo nell’ambulatorio dello scompenso della cardiologia dell’ospedale Santa Maria Nuova i medici modificavano la terapia incrementando l’uso di beta bloccante e specificando che la paziente sarebbe stata convocata a breve per un ecocardiogramma per l’eventuale pacemaker. L’esame fu compiuto il 2 febbraio: veniva confermata una «desincronizzazione sia intra che interventricolare» e sulla scorta di queste risultanze, a una successiva visita all’ambulatorio dello scompenso reggiano la paziente fu avvertita che sarebbe stata chiamata al telefono per il ricovero.

Da quel momento, nessuna convocazione giunse dall’ospedale per effettuare l’impianto programmato ormai da diversi mesi. E questo nonostante in maggio la donna avesse accusato un duplice episodio di malessere, con vertigini notturne e nausea. Fino al 6 agosto 2007.

La paziente si trovava nel Molise:ebbe un’aritmia fatale e la sera perse coscienza. Trasportata all’ospedale di Campobasso, morì per arresto cardiocircolatorio. La controversia che ne sortì ha in seguito visto il marito e i figli della donna accettare una transazione stragiudiziale con l’azienda ospedaliera, assistita dall’avvocato Franco Mazza: l’assicurazione del Santa Maria, all’epoca, erano i Lloyd’s.

Non ci fu accordo invece tra l’ospedale e la famiglia d’origine della defunta, che, assistita dagli avvocati Enrica Sassi e Andrea Boni, ha proseguito la causa. Fino alla condanna dell’ospedale per «perdita di chance».

Il giudice monocratico, nell’articolata sentenza di fine febbraio, ricorda che la consulenza tecnica d’ufficio, accolta da entrambe le parti, «ha chiarito che è certamente presente un profilo di colpa medica in capo ai sanitari che hanno assistito la signora. Ma aggiunge che una corretta prestazione medica tramite l’impianto di pace-maker «non avrebbe né con certezza, né con il criterio del ‘più probabile che non’, impedito l’evento morte, e ciò anche in considerazione delle molteplicità delle alterazioni aritmiche; purtuttavia, la corretta prestazione medica avrebbe ‘significativamente’ ridotto il rischio morte».

Quindi il giudice rigetta la domanda principale di risarcimento del danno derivante dalla perdita della congiunta a seguito di colpa medica. Ma fondata per il giudice Morlini è la domanda risarcitoria subordinata, intesa come «perdita di chance», una forma di danno solo di recente esplorata. La chance è l’occasione favorevole di conseguire un risultato vantaggioso, la perdita di chance è l’annullamento del presupposto. In questo caso, «vi è certamente stata, a seguito dell’errore medico, una lesione di chance, nel senso… di potere evitare il decesso e così ancora convivere con il proprio congiunto». L’affetto familiare è stato risarcito.

Mike Scullin