Reggio Emilia, 8 aprile 2011 - Basta andare in un negozio di dischi, chiedere di consultare ‘Riot on an empty street’ dei Kings of Convenience, band folk norvegese, e trovare, nei ringraziamenti, il nome e cognome di Davide Bertolini come produttore e anche bassista. Nome sconosciuto ai più («mi piace rimanere nell’anonimato», dice) quello del ragazzo reggiano di 38 anni che da 12 vive a Bergen in Norvegia e che collabora con una band che gira tutto il mondo in tournée e che è arrivato anche al numero 3 delle classifiche album italiane nel 2004. Una storia tutta particolare quella di Bertolini: cresciuto a Reggio nel quartiere Rosta Nuova, passato per Roma e Londra, dove ha perfezionato gli studi e ora fulcro del Grieghallen sound studio di Bergen.
 

Bertolini, una storia particolare la sua.
«Ho studiato al Bus, oltre a quattro anni e mezzo di conservatorio dove suonavo... l’oboe. Dopo mi sono spostato a Roma per perfezionare ingegneria del suono e infine a Londra, sempre per lo stesso motivo».
 

Da lì è un po’ cambiata la sua vita.
«Beh, poco dopo, in compagnia di un altro reggiano, Daniele Bonvicini, siamo stati in Norvegia per la prima volta per registrare un album di trip-hop. Tutti e due viviamo ancora lì».
 

E l’incontro con i Kings of Convenience?
«E’ stato del tutto casuale. Prima di incontrarli avevo fatto qualche concerto dal vivo come fonico e una volta mi trovai a collaborare con un duo pop elettronico nel quale Eirik Glambek Bøe (uno dei due Kings of Convenience, ndr) era cantante. In quell’occasione io suonavo il contrabbasso elettrico e l’australiano Paul Holden scriveva e suonava le tastiere: questo gruppo poi ha subito una trasformazione prima di diventare gli Ophelia Hope, altro gruppo col quale collaboro. Beh, a parte tutto, ci trovammo veramente bene insieme».
 

E poi?
«Ci siamo persi di vista e un giorno ci siamo reincontrati. A quel punto Eirik ed Erlend Oye (l’altro cantante dei Kings of Convenience, ndr) sono venuti a provare in studio. Hanno preso due microfoni, le chitarre, io nell’angolo col contrabbasso e registrato tutto sul computer. ‘Misread’ il successo più grande di quell’album è venuto così, al primo colpo».
 

L’ultimo loro album è stato registrato a Rubiera.
«Sì, li ho portati all’Esagono. Siamo stati lì per un mese, con orari improponibili. Sono stati tutti molto gentili: e la cuoca Lucia li ha fatti impazzire. Sono pazzi per la cucina emiliana».
 

Segue anche le tournée?
«Fatte tutte, tranne quella negli States. Anche perché il lavoro, a Bergen, non manca mai».
 

Quanti album produce all’anno?
«Sono inquantificabili».
 

In tutti i giornali specializzati di musica si associa il suo nome agli Ex-Otago, band italiana in ascesa.
«Ho sentito una prima canzone del loro nuovo album e subito ho detto: “Sì, li produco io”. Tra l’altro con questa iniziativa dell’Azionariato Popolare in cui tutti i fan possono diventare produttori, stanno riscuotendo successo e ne sono felice. E’ un gruppo coraggioso. E li appoggio».
 

Torna spesso in città?
«Quando posso sì. Sono molto legato alla mia terra. E spero di portarci di nuovo i Kings of Convenience».