Poviglio (Reggio Emilia), 1 agosto 2013 - Da Poviglio a Dublino per insegnare agli irlandesi a bere vino. E mangiare tigelle e piadina, mortadella e Parmigiano Reggiano. Cristiana Righi ha 36 anni, e se la nostra regione avesse una bandiera, sventolerebbe fuori dal suo wine bar, nella capitale d’Irlanda. L’ha chiamato ‘Taste of Emilia’, che significa ‘sapore d’Emilia’, e da maggio 2009 è uno dei locali più ricercati nel centro di Dublino, al numero 1 di Lower Liffey Street, a qualche centinaio di metri dal mitico Temple Bar. Merito di questa ragazza partita dalla Bassa, che dopo aver preso la maturità al liceo Moro e aver provato a laurearsi in Scienze politiche, ha deciso che il suo futuro sarebbe stato altrove. Era partita per imparare l’inglese e lavorare all’estero, è diventata ambasciatrice gastronomica di Reggio.
 

Cristiana, come si finisce da Poviglio a Dublino?
«E’ una storia lunga. Sono in Irlanda ormai dal 1999, all’inizio ero partita solo per restare sei mesi e imparare la lingua. E invece sono ancora qui».
 

Come mai l’Irlanda?
«Ero venuta due volte in vacanza e Dublino mi era piaciuta. Avevo conosciuto la signora che mi ospitava in un bed & breakfast e quando le ho scritto una lettera, chiedendole consigli per tornare a studiare l’inglese, mi ha preso come ragazza alla pari, a dicembre del ‘99. Ero la babysitter dei suoi bimbi, alla fine ho deciso di restare».
 

E ha cercato lavoro.
«Ho mandato qualche curriculum in giro, ho trovato quasi subito. Ho lavorato per due anni e mezzo al quartier generale della Hertz, che noleggia auto, poi altri due anni e mezzo per un’azienda che si chiama Amo e produce lenti a contatto. Sempre all’ufficio clienti, così ho iniziato a capire gli irlandesi e la loro mentalità».
 

Da qui ad aprire un ristorante, ce ne passa.
«In mezzo c’è dell’altro. Nel 2005 ho deciso di partire e per non sentire troppo la mancanza dell’Irlanda sono andata dall’altra parte del mondo. Sono stata un anno in Australia, poi sono tornata a Dublino. Ho lavorato per un po’ alla Creative Labs, che produce mp3, ma mi frullava in testa da tempo l’idea del locale emiliano. A forza di sentirne parlare, si è convinto anche mio padre, e mi ha dato il via libera. Nel maggio del 2009 abbiamo aperto ‘Taste of Emilia’».
 

Qualcuno aveva già esperienza di ristorazione, in famiglia?
«Macché. Mio padre Cristian e mia madre Anna hanno fatto tutt’altro, però noi emiliani cresciamo con una cultura speciale del cibo. Il motore è stato quello, ero stanca di vedere che gli stessi italiani uscivano delusi dai nostri ristoranti all’estero perché arrivavano prodotti di basso livello. Col risultato che il lambrusco che trovavi finiva per squalificare quello vero, che beviamo da noi».
 

Quindi?
«Quindi prima di aprire ho passato mesi a casa a contattare personalmente i fornitori, e a spiegare loro che volevo che mi mandassero solo roba buona, quella che mangiavo e bevevo la domenica da mia nonna a Rubiera. E quando sono stata pronta, ho aperto».
 

Come ha scelto il nome?
«Anche un po’ per orgoglio, per soddisfazione personale. Ci tenevo a tenere alto il nome della mia terra, ho solo tolto ‘Romagna’ perché per gli irlandesi sarebbe stato impronunciabile».
 

Come si insegna a bere vino, a chi è famoso nel mondo per la birra?
«La vera sfida è stata quella, l’abbiamo vinta facendo una scelta precisa. Prima di tutto, abbiamo la licenza solo per vendere vino. Era la più semplice da prendere dal punto di vista burocratico, ma è stata anche una volontà precisa. La birra lasciamola fare a loro, che sono bravi. Noi concentriamoci su quello che sappiamo fare: da noi si beve lambrusco della cantina Albinea-Canali, si trovano salumi e formaggi e aceto balsamico che arrivano direttamente dai caseifici e dai produttori anche piccoli delle nostre zone. Certo, a volte gli stranieri ci chiedono cose assurde, come un tagliere di salume con cioccolata calda o cappuccino. Ce li ho nel listino, non posso non darli. Ma ogni volta che posso cerco di oppormi a certi abbinamenti che a noi farebbero mettere le mani nei capelli».

Doriano Rabotti