Reggio Emilia, 30 giugno 2011 - L’amianto continua a uccidere, e a Reggio l’incidenza del mesoteliomia, il tumore correlato, è nettamente maggiore rispetto alle province dell’Emilia Romagna. «Ogni cento mila abitanti, nella nostra provincia, il tumore causato dall’amianto colpisce circa quattro maschi, per le donne il dato è inferiore - 1,6 - ma pur sempre elevato». A sottolineare questo triste primato è il dottor Antonio Romanelli, responsabile del Registro Mesoteliomi Regione EmiliaRomagna, inserito nell’Ausl reggiana. Il mesotelioma è un tumore correlato all’esposizione con l’amianto, una malattia che non ha ancora trovato una cura.
 

«La media regionale ogni cento mila abitanti - spiega Romanelli - è di 3,1 per gli uomini e 1,2 per le donne». L’incidenza, ovvero i nuovi casi di tumore riscontrati ogni anno nel reggiano, è di 15 persone. Basta guardare la provincia di Modena, per capire come a Reggio l’amianto sia ancora un problema reale. Infatti il tasso maschile nella provincia limitrofa è di 2,1 per mille abitanti e 0,9 per quanto riguarda il dato femminile. «Il mesotelioma può presentarsi anche 40 anni dopo l’esposizione all’amianto - precisa il dottor Romanelli - ha un lungo tempo di latenza e non colpisce solo gli ex lavoratori nelle aziende che si occupavano di ‘eternit’, ma anche i familiari o chiunque sia stato in contatto con gli operai».
 

«Dobbiamo però sottolineare - prosegue Romanelli - che il numero dei tumori per amianto è generalmente basso, in Emilia Romagna da ’96 ad oggi sono meno di 2000 i casi accertati. È una patologia a bassa soglia. Inoltre non tutti quelli che hanno lavorato con l’amianto si ammalano, altrimenti il dato sarebbe decisamente maggiore». Una delle spiegazioni che il dottor Romanelli offre riguardo all’alto tasso dei mesoteliomi a Reggio è «la storica presenza di aziende che negli anni passati si sono occupati di cemento-amianto e lastre di eternit. Otto delle dieci aziende che in tutta la regioni si occupavano di amianto hanno avuto sede nel reggiano».
 

Una malattia che colpisce in particolari gli uomini con un rapporto 2 a 1 rispetto alla componente femminile della popolazione, quest’ultima generalmente meno utilizzata nell’industria. Secondo i dati del Registro, il 30,5% dei malati ha lavorato nella produzione di manufatti di cemento-amianto, il 22,7% invece nella costruzione e riparazione di rotabili ferroviarie e l’11,3% nel settore edile. «Abbiamo anche avuto casi particolari - spiega Romanelli - nei quali il tumore si è presentato in persone che si sono occupate della posa dei tubi per l’acqua. Però questi pazienti avevano già accumulato esposizione all’amianto nelle occupazioni precedenti, difficile trovare una sicura correlazione».