Reggio Emilia, 7 marzo 2014 - Domanda di un amico: “A te è piaciuto La Grande Bellezza?”

Risposta: “È un film complesso e ambizioso. Che cosa va cercando Jep Gambardella, il protagonista? Qualcosa di molto difficile, impossibile da trovare. Lo dichiara ed è come la dichiarazione di intenti del regista. Questa bellezza magnifica, inebriante di Roma, della storia e della cultura di cui è emblema, si traduce in quadri bellissimi, dipinti sopra una trama quasi inesistente. Tipo, un Guido Reni e un Beato Angelico, messi lì, sganciati da una sede espositiva, senza gli Uffizi a contenerli. Gran lavoro di scrittura e di cucito per cercare di tenere unito tutto insieme un mare magnum di immagini esteticamente sbalorditive, da sindrome di Stendhal. Un film con dei difetti macroscopici tanto quanto i pregi. La prima volta che l'ho visto a maggio 2013 ho cercato di guardarlo con sguardo vergine, 'ricevendolo', come si fa con una tela bianca. Pensavo: Sorrentino che cosa vuoi dire? Non al pubblico, a te stesso. Che progetto hai in mente? Roma sprecona, di tempo e di danaro, un ritratto spietato, ma anche poetico, disincantato e malinconico di una società che si è persa dietro l'ultimo party tirato fino all'alba del giorno dopo per non pensare ai suoi guai, alla crisi, a un Paese alla deriva. Ma non solo. Roma cartina al tornasole dei mali che affliggono l'Italia. Ecco l'aspetto etico della storia. Eppure non mi ha convinto. La seconda volta l'ho visto al Cristallo di Reggio: non mi è piaciuto. Tendevo a metterlo da parte. La terza volta, qualche sera fa, sì! Mi è piaciuto. Ho colto – a tratti – il Sorrentino per cui è diventato famoso. Ho pensato che nel suo parlare laconico intorno al film egli sia molto più intelligente di tutte le critiche che gli possono essere mosse. Dopodiché, è corretto e bello che l'autore non si sottragga troppo. Come quando qualche critico con cognizione di causa gli ha fatto notare che, forse, un buchetto di sceneggiatura c'è. Anche perché in testa un disegno preciso di ciò che andrà a dirigere dietro la cinepresa, il regista lo deve avere. È un film molto ruffiano anche, ma non so quanto volontariamente”. Avrò risposto alla domanda del mio amico?

IL TOCCO REGGIANO. Poi ci siamo fatti raccontare l'esperienza di essere il montatore di un film che ha vinto l'Oscar. E' successo al reggiano Cristiano Travaglioli, arruolato da Paolo Sorrentino ai tempi dell'Uomo in più e ora raggiante con lui per La Grande Bellezza. Il lavoro certosino e sapiente di Travaglioli si vede tutto nelle scene ricche di pathos e bisognose di essere collocate e fatte respirare nel modo giusto, nell'elaborato mosaico della sceneggiatura. Congratulazioni Cristiano.

SIAMO TUTTI C.T. DELLA GRANDE BELLEZZA. Ci avete badato? All'improvviso, dopo la vittoria agli Oscar del miglior film straniero, sono tutti entusiasti dell'opera. Anche quelli che erano detrattori, fino all'altro ieri... O viceversa! Della serie Ciak, si sparla. Quelli che prima lo osannavano ne prendono le distanze o peggio. E' come un match dei Mondiali anticipato, in cui tutti fanno il Prandelli della situazione. Va bene la metafora calcistica. D'altra parte, lo stesso regista ritirando la statuetta ha ringraziato Maradona come fonte di ispirazione, no? Anche lì, nulla di scandaloso. Paolo Sorrentino somiglia a un personaggio dei suoi film, è un 'amico di famiglia', alla fine.

TIRATA PER LA GIACCHETTA. Riguardo alla pioggia di commenti e polemiche partite lunedì mattina, come ha notato giustamente qualcuno “Se avesse vinto una palma, un orso, un leone, un pinguino, nessuno se lo sarebbe filato”. Ora LGB viene tirata per la giacchetta per i più disparati motivi, perfino politici: per difendere i tesori d'Italia, attribuendo un pensiero del tutto arbitrario al regista, o per affossare il Paese, anche qui distorcendo le reali intenzioni, che rimangono sconosciute ai più, di un autore. Quando sarebbe bello e utile ritornare al dibattito intorno al film in quanto tale, e rivelarne lacune e meriti da un punto di vista squisitamente cinematografico.

LA NOTTE, TUTTA LA NOTTE. Sì, confesso che ho dormito poco. Era la Notte degli Oscar domenica 2 marzo, sconfinante nel lunedì 3, e non potevo perdermela! Notte nel vero senso: dalle 22.50 alle 6.20 a.m. (una volta la tiravano fino alle 7.30. Praticamente vedevi alzarsi la gente che andava a lavorare e tu a letto all'ora dei nottambuli da discoteca, solo che avevi fatto gli Oscar). Due ore di red carpet, poi pausa, poi la diretta fino alla fine, chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Filo diretto Reggio – Los Angeles, con un caffellatte di qua e la pizza di là, sul Pacifico, servita da Edgar il ragazzo all'angolo, che dietro ordine della conduttrice Ellen DeGeneres ha rifocillato gli illustri ospiti del Dolby Theatre. Ogni volta che assisto al red carpet, penso “Ecco. Sono tutti lì!! Gli idoli di una vita. Non so da che parte guardare. Tutti a portata di mano solo un giorno dell'anno”.

IL LUOGO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO. Connessa al Live Tweeting in diretta di un sito italiano di cinema, commento anch'io le fasi salienti della grande serata, che ha decretato il trionfo di 12 anni schiavo come miglior film, meritatamente, oltre alla statuetta per la sceneggiatura non originale e all'attrice non protagonista, Lupita Nyong'o. Ecco la sorpresa vera: era un outsider, a fianco di colossi come Julia Roberts e Jennifer Lawrence, e ce l'ha fatta. Fra l'altro fasciata in un meraviglioso abito acquamarina Prada. Carino il siparietto dietro le quinte, dove una splendida quanto distratta Lawrence (è caduta come lo scorso anno!), vestita con un abito ruosso fuego e gioiello sulla schiena, fingeva di strappare l'Oscar dalle mani della piccola Lupita.

Con grande gioia è giunta la statuetta al miglior attore protagonista per Matthew McConaughey, interprete stupendo di Dallas Buyers Club, film che ha premiato anche la performance di Jared Leto, coi capelli lunghi, tipo indiano Cherokee. Quindi gli attori ci piacciono molto e finalmente il mondo si è inchinato a Matthew. Un po' meno le attrici onorate dell'Oscar: per la giovanissima Nyong'o crediamo sia più la potenza del ruolo, che la sua bravura di attrice, e per Cate Blanchett – complimenti all'abito prezioso, con pietre, cristalli su sfondo carne – ci sembra che la magia l'abbia più fatta Woody Allen che in Blue Jasmine ha composto il duetto delle interpreti (l'altra è Sally Hawkins) come un vero direttore d'orchestra. Chapeau invece a Blanchett come attrice, sempre. Da queste parti, abbiamo twittato una preferenza per Dame Judi Dench o Amy Adams, al posto dell'australiana. Ci sembravano semplicemente perfette nelle parti di Philomena e in American Hustle.

PIANGE IL CUORE vedere battuta la coppia Martin Scorsese e, soprattutto, Leonardo DiCaprio, in corsa per The Wolf of Wall Street. Film eccessivo, una soria di apologia ironica di un eore negativo che forse ha fatto storcere il naso ai membri dell'Academy, così puritani, ma Leonardo sta dimostrando nelle ultime prove doti da camaleonte e qui supera se stesso. Però aveva contro McConaughey. Niente da fare. La faccia di pietra di Leo, al momento dell'apertura della busta, vale più di mille parole.
Forse, azzardiamo, Scorsese e DiCaprio dovrebbero separarsi per un po'. Così da alleggerire i ruoli dell'attore, che può ricaricarsi, affrancarsi dal pigmalione, e ritornare forte.
Martin, dal canto suo, sconfitto da Alfonso Cuàron che ha vinto per Gravity, può ripararsi sotto le sopracciglia.

MA 'NDO VAI SE IL SELFIE NON TI FAI. Rimarrà nella storia del cinema l'autoritratto che Ellen DeGeneres, servendosi del palmare di Bradley Cooper, ha scattato ad alcuni degli intervenuti alla Notte degli Oscar: nella foto, Julia Roberts, Meryl Streep, Jennifer Lawrence, Jared Leto, Brad Pitt, trionfante per l'Oscar da produttore di 12 anni..., Angelina Jolie, Lupita e il fratello e uno spiazzante Kevin Spacey. Confesso una debolezza, me lo sono fatta anch'io per poi spedirlo via Twitter, dietro richiesta del famoso sito di cinema, il selfie. Erano le 4 del mattino. Se non si è deboli a quell'ora...

Ma poi dico: Charlize Theron, Glenn Close, Kevin Spacey, Naomi Watts, Benedict Cumberbatch e Christoph Waltz. Più tutti gli altri dentro e fuori il teatro a Los Angeles. Non è quello il più grande selfie del mondo?.

Lara Ferrari