Reggio Emilia, 7 marzo 2012 - «Stadio di Reggio Emilia Città del Tricolore? Bella fantasia, scelta innovatrice, moderna». Franco Dal Cin è ironico, tagliente. L’ex patron granata non ha peli sulla lingua col cronista che gli chiede un commento sulla rinomina del primo impianto privato d’Italia, la sua creatura, inaugurata il 15 aprile 1995. «Mi ha dato lei la notizia - incalza il manager da Udine - mi sembra un modo di operare retrogrado e superato dagli eventi. Da elettroencefalogramma piatto. Siamo nel 2012, tutto il mondo cerca lo sponsor e importanti risorse. Reggio invece fa un passo indietro».
Guardi, il presidente Barilli ha detto che continuerà la ricerca dello sponsor per lo stadio.
«Ma quando metti un nome, dopo diventa tutto complicato. Provate a pensare, che so, a Stadio di Reggio Emilia Coca Cola. No, non esiste. Io non avrei avuto premura».
Niente invito per la cerimonia di domenica, dunque...
«Gliel’ho detto, non ne sapevo nulla. Mi è dispiaciuto non essere stato invitato all’inaugurazione dei Petali. Quello è stato il primo schiaffo, il secondo diventa marginale. In ogni caso, quello che ho fatto resterà per sempre. E cambiare nome mi sembra più che altro un voltare pagina in modo formale. Faccio volentieri a meno di vedere il sindaco Delrio con la fascia tricolore tagliare il nastro. La mia Reggiana è morta per colpa sua».
Cioè?
«Delrio è stato il più strenuo oppositore dello sviluppo dello stadio Giglio nei tempi giusti. Ed è venuto fuori il disastro. Nel 95 io presi accordi col sindaco Spaggiari e con l’assessore Malagoli per proseguire nel progetto. La polifunzionalità avrebbe dato forza della società, che avrebbe potuto affittare le sue proprietà e generare risorse. Bene, ci sono voluti sette anni per approvare la variante al piano regolatore e questi sette anni hanno ucciso la Reggiana di Dal Cin. Questioni politiche, forse non piaceva il mio piano innovativo, ma tutto era ispirato al bene della squadra e della città. Io lo stadio l’avevo fatto assieme alla gente, per la gente. Nello spirito di cooperazione, che è nella storia di Reggio».
La variante però alla fine venne approvata.
«Sì, e vi dico come. Un venerdì notte, eravamo nel dicembre del 2001, mi dissero che se non avessi venduto la Reggiana a Foglia il giorno dopo in comune non avrebbero approvato la variante. La Spaggiari e Malagoli, gente perbene, non controllavano più la situazione, perchè a Roma avevano fatto accordi politici con la Margherita e Delrio era diventato l’ago della bilancia. Fui costretto a cedere e poi fu Foglia a vendere il progetto dei Petali per 20 milioni di euro. Quelli che mi avrebbero permesso di pareggiare tutte le situazioni. Invece, la nuova proprietà in tre anni riuscì a mangiarsi i venti milioni e il club saltò per aria».
Questa è la sua verità.
«Quello che dico è tutto documentato. Io non mi sento responsabile del fallimento. E a Reggio ho vissuto sei anni splendidi, gli ultimi tre un po’ meno. Vi ricordate gli striscioni «Dal Cin sindaco»? Ci sono voluti 16 anni per vedere realizzata un’altra esperienza come quella del Giglio. Parlo della Juventus, ovviamente».
Di striscioni su di lei in nove anni ne abbiamo visti tanti. Anche il «Dal Cin vattene». Quando se n’è andato da Reggio ha vissuto parecchie bufere. Processi, squalifiche di 5 anni con proposte di radiazione, nuove inibizioni.
«Calma. Io sono candido e pulito. In sede penale sono sempre stato assolto. In sede sportiva le squalifiche sono sempre state ingiuste e l’ultima è stata cancellata. Hanno voluto colpire chi aveva fatto scattare Calciopoli. Chi, nel 2004, si era permesso di denunciare i misfatti di Moggi e Giraudo. In base alle mie dichiarazioni il Gip diede l’okay alle intercettazioni telefoniche. In questo mondo però ci vuole un attimo a pensare che uno sia un delinquente».
Cosa ne pensa del bubbone-scommesse?
«E’ il marchingegno del calcio che porta a delinquere ed è quasi impossibile da fermare. Tutti hanno un prezzo. Anche le persone oneste di fronte a montagne di soldi cominciano a tentennare. Per eliminare il problema bisognerebbe abolire le scommesse».
Lei è sempre nel calcio?
«Certo, ma non sono tesserato. Ho scuole calcio in Guinea e in Nigeria, una società di serie C in Belgio, un progetto avviato in Romania, attività nel fotovoltaico. E sono consulente di varie società, dove ho amici e a cui porto idee. A volte mi capita di passare da Reggio e guardo con orgoglio lo stadio. L’ultima volta ci sono entrato in settembre. Avevo un problema di documenti e ho incontrato anche Barilli».