Riina parla in carcere: "Cosa Nostra intercettava Borsellino"

Il boss in carcere, duranta l'ora d'aria, racconta a un altro detenuto di aver cercato di uccidere il giudice palermitano per anni. "Sapevamo che doveva andare da sua madre"

La strage di via D'Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta (Ansa)

La strage di via D'Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta (Ansa)

Palermo, 22 luglio 2014 - "Cosa Nostra teneva sotto controllo il telefono del giudice Paolo Borsellino o dei suoi familiari". A pochi giorni dall'anniversario della strage di via D'Amelio, dove il 19 luglio 1992 rimasero uccisi l'allora procuratore aggiunto antimafia a Palermo e la sua scorta, Totò Riina dal carcere torna a parlare della vicenda con un altro detenuto, in una conversazione intercettata. "Sapevamo che doveva andare là perché lui gli ha detto: domani mamma vengo", racconta il boss, riferendo le parole dette dal magistrato alla madre.

"Ma mannaggia - prosegue Riina parlando durante l'ora d'aria con il detenuto Alberto Lorusso - Ma vai a capire che razza di fortuna. Alle cinque mi sono andato a mettere li'". "Quello senza volerlo - spiega il capomafia corleonese - le ha telefonato". "Troppo bello: sapevo che ci doveva andare alle cinque. Piglia, corri e mettigli un altro sacco", continua Riina facendo intendere, secondo gli inquirenti, che dopo avere sentito la conversazione tra Borsellino e la madre - dialogo intercettato dalla mafia - si affrettò a imbottire la 126  usata come autobomba con un altro sacco di esplosivo. "Minchia come mi è riuscito", aggiunge. Pesanti, poi, i giudizi espressi dal capomafia sulla sorella del magistrato ucciso, Rita: "Una disgraziata - dice a Lorusso - la vedi inviperita nel telegiornale, non ha digerito la morte di questo suo fratello che ci ha suonato il campanello a sua madre". 

 Il boss detenuto racconta di avere cercato di uccidere Borsellino per anni. "Una vita ci ho combattuto - dice - una vita... Là a Marsala (dove il magistrato aveva lavorato, ndr)". "Ma chi glielo dice a lui di andare a suonare?" si chiede Riina. "Ma lui perché non si fa dare le chiavi da sua madre e apre", aggiunge confermando che a innescare l'esplosione sarebbe stato il telecomando piazzato nel citofono dello stabile della madre del magistrato in via D'Amelio. "Minchia - racconta - lui va a suonare a sua madre dove gli abbiamo messo la bomba. Lui va a suonare e si spara la bomba lui stesso. E' troppo forte questa".

Secondo gli inquirenti, Cosa nostra avrebbe predisposto un meccanismo costituito da un primo telecomando che avrebbe attivato la trasmittente, poi suonando al citofono il magistrato stesso avrebbe inviato alla ricevente, piazzata nell'autobomba, l'impulso che avrebbe innescato l'esplosione. Una tecnica analoga, secondo gli inquirenti, a quella usata per l'attentato al rapido 904 per cui Riina è stato recentemente rinviato a giudizio come mandante. Questo genere di innesco sarebbe stato usato dai mafiosi quando pericoloso o impossibile per loro restare nelle vicinanze del luogo dell'esplosione.