Venerdì 19 Aprile 2024

Candidati a perdere

Andrea Cangini

MANCA il fabbro, e manca anche il ferro. Non si vede chi possa forgiare gli uomini nuovi della destra, né chi possa credibilmente riempirne il vuoto. Che uomini, e che donne, sono queste figurine sbiadite che ci ritroviamo come per caso appiccicate sull’album di famiglia? Che forza, che tensione, che storia e che carisma esprimono? Che senso ha un Guido Bertolaso, l’uomo delle catastrofi ambientali e giudiziarie, che di lunedì esibisce la «malattia rara» della nipote nata a Londra come ovvio e insormontabile impedimento alla candidatura, e di venerdì, «onorato della proposta», risolutamente si offre come sindaco di Roma. Che senso ha una Rita Dalla Chiesa buttata a forza nell’agone in quanto volto televisivo, pergiunta figlia di generale illustre, che in ventiquattr’ore balza fuori dalla scena politica brandendo l’italico vessillo del «prima la famiglia». A Milano c’è Stefano Parisi, candidato-manager da non sottovalutare. Ma anche lui, come Bertolaso, non aveva alcuna voglia di impegnarsi in politica: pare l’abbia persuaso una fideiussione milionaria. Grandi uomini, grandi ideali.

IL TUTTO mentre i leader politici se ne stanno accucciati e ben si guardano dall’accettare la sfida. Candidandosi a sindaco di Milano, Matteo Salvini avrebbe avuto il proprio battesimo elettorale da leader. Ma ha preferito non correre il rischio e mantenersi puro in vista delle politiche, ben sapendo che per lui sarebbe più facile vincere il Festival di Sanremo piuttosto che spuntare la candidatura a premier dell’intero centrodestra per poi, magari, vincere anche le elezioni. A Roma Giorgia Meloni ha fatto fuoco e fiamme contro l’ipotesi che la coalizione convergesse sul ‘civico’ Alfio Marchini, il quale resterà però in campo spaccando il fronte moderato e favorendo di conseguenza Pd e M5s. Ma non per questo l’indomita Meloni s’è candidata in proprio. Attende un figlio, e quel ‘tengo famiglia’ che secondo il grande giornalista e scrittore Leo Longanesi era il perfetto motto d’Italia diventa di conseguenza il vessillo politico dell’intero centrodestra. Non che il coraggio altrove abbondi. La meglio gioventù grillina s’è imboscata per prima: Di Maio evita la sfida a Napoli così come Di Battista la schiva a Roma.

Si faranno largo dei Signor Nessuno, mentre i ‘big’ del Movimento 5 stelle lucidano, pontificando, le assi della scena nazionale. Perché vincere è difficile, e governare senza soldi né esperienza è pure peggio.

 

ANCHE la vecchia guardia del Pd strepita ma non rischia. Motteggia dal divano di casa, ma che bella sfida al ‘renzismo parolaio’ sarebbe stata se Massimo D’Alema si fosse imposto al Pd come candidato sindaco di Roma, se Pierluigi Bersani avesse fatto la stessa cosa a Bologna e se Walter Veltroni (che dove lo metti sta) esibendo un antenato lombardo fosse sceso in campo per la guida di Milano. E invece niente, tutti rinchiusi nel proprio cantuccio intenti solo a dar lezioni al prossimo. Ma se non accettano il rischio, che leader sono? Nessuna leadership, infatti, solo vecchie frustrazioni e selezionatori con lancio della monetina di candidati a perdere rappresentativi di nulla.