Rimini si sveglia sotto le bombe: è la Grande Guerra

Cent’anni fa il primo attacco alla città

L’incrociatore austriaco Sankt Georg lanciò 54 bombe contro Rimini in appena 24 minuti

L’incrociatore austriaco Sankt Georg lanciò 54 bombe contro Rimini in appena 24 minuti

Rimini, 24 maggio 2015 - Una carneficina. Seicentoottantotto caduti, dei quali 362 in combattimento, 235 per malattia 56 dispersi, e 35 in prigionia, è il tragico tributo in vite umane che Rimini ha pagato alla prima guerra mondiale. Tutto ebbe inizio il 24 maggio 1915, alle prime luci dell’alba. Con un tempismo straordinario rispetto all’inizio delle ostilità comunicate all’imperatore d’Austria-Ungheria la sera precedente, l’ombra cupa di un dirigibile nemico in ricognizione appare sulla città, la sorvola, si sofferma sul ponte della ferrovia e poi scompare. Poco dopo, verso le 4 del mattino, a due chilometri dalla riva compare la corazzata Sankt Georg partita nella notte da Pola che punta i suoi cannoni su Rimini e per ventiquattro minuti lancia ben 54 bombe. Fortunatamente ne esplodono poche e i danni sono limitati: un morto, nessun ferito, pochi gli edifici lesionati, intatti il ponte della ferrovia e i binari della stazione.

Ma è solo l’inizio di un quadriennio cupo e tormentato. Quindi, tre bombardamenti aerei in tutto, quelli sofferti da Rimini nel primo conflitto mondiale dei quali ci è dato un preciso resoconto, oltre che dai giornali locali, anche da una tavola, disegnata e annotata dal sottotenente d’artiglieria Alfonso Fiorentini, che porta il titolo «Memorie di guerra, le bombe su Rimini, rilievi e studi sulla rosa di tiro», conservata in Gambalunghiana. Una memoria preziosa da cui si ricava un bilancio non particolarmente catastrofico per gli edifici della città, anche perché dopo la prima incursione navale a sorpresa della Sankt Georg, lo stato maggiore e le autorità civili erano corse ai ripari: erano state disposte in punti strategici numerose postazioni di artiglieria contraerea, era stato attivato un campo d’aviazione con velivoli per contrastare gli attacchi e un treno blindato era sempre all’erta per poter intervenire in velocità su tutta la costa. L’Allarme che veniva propagato dalle campane della torre civica – a lenti rintocchi per attacchi navali, suono a stormo per attacchi aerei – a cui facevano eco le campane del duomo, di San Giuliano, San Nicolò, San Gaudenzo e San Giovanni.

Poi, dal 1916, quando il coordinamento fu affidato al comando militare per difesa antiaerea, ad avvisare la popolazione, che poteva rifugiarsi in cantine e grotte contrassegnate da una stella, era lo scoppio di fragorosi razzi tonanti. Come le navi da guerra, anche gli incursori che arrivavano a Rimini, bombardieri o ricognitori che fossero, partivano dalla più importante base navale e aerea delle forze della triplice alleanza sull’Adriatico, Pola, che, collocata in posizione strategica, distava 135 chilometri da Venezia, 134 da Rimini, e 135 da Ancona, tutte città importanti per la difesa e per l’economia italiana. Città che, però, si trovavano quasi al limite dell’autonomia e del raggio d’azione degli aerei austriaci, costretti, quindi, ad effettuare incursioni veloci di venti minuti al massimo. E, fortunatamente, con danni limitati. Quello che Rimini pagò tra il 1915 e il 1918 fu un tributo comunque altissimo: quasi una famiglia riminese su dieci ha pianto infatti un suo giovane caduto al fronte. E il turismo, attività tra le più fiorenti che tanto benessere stava distribuendo ad una citta storicamente povera, era stato azzerato e aveva visto in Riviera dilagare insieme ai lutti anche la povertà. Aveva visto accogliere negli alberghi, nelle le pensioni e nelle colonie, profughi, feriti e prigionieri al posto dei raffinati turisti di un tempo. Come se non bastasse, a render ancora più cupi e tragici quegli anni ecco nel 1916 un terribile terremoto, che scosse la città dal 17 maggio al ferragosto, e, nel 1918, un’epidemia di spagnola che durò dall’aprile al dicembre.

Se la prima guerra mondiale aveva decretato per l’Italia e per l’Europa la fine dei sogni della Belle Epoque, per Rimini segnò la fine di quel ciclo brillante ed elegante durato più di quarant’anni che aveva visto affermare la fama e i miti della Riviera nati all’ombra del Kursaal, del Grand Hotel, dei raffinati villini e dei locali alla moda. La letteratura sulla città nel tormentato periodo di guerra è copiosissima, talvolta segnata da una vena di retorica peraltro ben giustificata dagli atti di vero eroismo e di sacrificio che si sono consumati tra il ’15 e il ’18 non solo al fronte. Tra i tanti che ne hanno scritto: Gaetano Facchinetti, Flavio Lombardini, Nevio Matteini, Ettore Tosi Brandi e Gaetano Rossi. Certo, è impossibile addentarsi correttamente con poche battute in un tema talmente complesso e importante, ma è ineludibile la riflessione che né i lutti, né la povertà, piegarono in quegli anni la popolazione di quella esuberante città dei bagni e del turismo fondata nel 1843. Nel 1922 la Riviera era pronta per nuove stagioni, completamente rinnovata. Rinnovata non solo nei luoghi e nelle strutture, ma, soprattutto, nel coraggio e gli entusiasmi dei suoi abitanti, ormai veri e propri maestri nell’arte dell’ospitalità. Ben determinati a raggiungere nuovi successi.