Ciro Vanucci: «Ho finto di essere morto tra cadaveri e feriti»

Il racconto del massacro di Tunisi FOTO

Ciro Vanucci

Ciro Vanucci

Rimini, 24 marzo 2015 - «Per sopravvivere, mi sono sdraiato a terra con gli abiti sporchi di sangue, fingendomi morto, tra cadaveri e feriti». Ciro Vanucci racconta quell’ora di terrore seduto sul divano di casa. E’ rientrato nella notte tra domenica e lunedì con un un duplice volo organizzato dalla Costa Fascinosa, che da Palma di Maiorca lo ha portato prima a Madrid e infine e Bologna dove c’era un taxi pronto a trasportarlo a casa a Riccione. Di tanto in tanto guarda la gamba con i due grandi cerotti che nascondono il foro di entrata e uscita del proiettile. La strage al museo del Bardo di Tunisi (FOTO), nella quale si è ritrovato, è ancora viva nei suoi occhi.

Vanucci, cosa ha fatto appena rientrato a casa?

«Era l’una e trenta. Mi aspettavano mia moglie e i figli. Mi sono detto, finalmente sono al sicuro».

Cosa si è lasciato alle spalle?

«Proiettili, morti, un’ora di terrore».

Ci racconta cosa ha vissuto?

«Siamo entrati nel museo. Quando siamo saliti al piano superiore il gruppo si è diviso. Abbiamo sentito degli spari. All’inizio non abbiamo compreso cosa stesse accadendo. Poi abbiamo visto volare i proiettili».

Cosa ha fatto?

«Io ed altri cinque ci siamo messi un una stanza, in un angolo, sperando non ci trovassero. E’ arrivato un ragazzo, era in borghese e aveva un mitra in mano. Ha cominciato a sparare all’impazzata sui muri, sulle opere e su di noi. Sono rimasto ferito alla gamba, due persone erano a terra, morte, altre tre ferite. Mi sono ritrovato in piedi davanti a lui».

Lo ha visto in faccia?

«Era giovane, avrà avuto vent’anni. Tra noi c’erano quattro metri. Mi ha guardato ed ha premuto il grilletto, ma il mitra non ha sparato, non so se erano finiti le munizioni o si era inceppata l’arma».

Poi cos’è accaduto?

«Ho sentito le sirene, gli allarmi e quel ragazzo se n’è andato, ma non era finita. Avevo paura che tornasse qualcuno a finirmi. Così mi sono sdraiato a terra con la maglia sporca di sangue fingendomi morto. Più tardi sono arrivate le teste di cuoio a liberarci».

Per quanto tempo siete rimasti nel museo?

«Almeno un’ora, poi mi hanno aiutato ad alzarmi e mi hanno caricato su un’ambulanza. Era un furgone, e al posto della barelle un’asse dove mi sono appoggiato, cercavo di tenere la gamba in alto, sanguinante, mentre mi portavano all’ospedale».

In ospedale cosa pensava?

«Da quel letto continuavo a chiedere: per favore portatemi via da qui. Mi hanno voluto incontrare anche diplomatici del governo tunisino. A volte mi chiedono perché vado in vacanza da solo. Oggi mi dico: per fortuna che non ero con la mia famiglia».

Tornerebbe in Tunisia?

«No, mi spiace. Ci ero già stato l’anno scorso. E’ un luogo molto bello, ma non ci tornerò. Mi dispiace per i morti. Ho rivisto in tv la foto di un signore con la barba, una vittima, era la nostra guida. A volte ripenso a quella signora a terra, con le braccia spappolate e il sangue. Dove ci trovavamo hanno fatto una strage».