Il Cocoricò riaccende la musica. "Abbiamo pagato il conto"

Intervista a De Meis. Dopo la morte del 16enne, la discoteca riaprirà il 7 dicembre

Fabrizio De Meis

Fabrizio De Meis

Rimini, 7 novembre 2015 - La piramide si riaccende. Ma quando parla della riapertura del suo Cocoricò, Fabrizio De Meis non abbozza un sorriso. La morte di un ragazzo, settimane passate nell’occhio del ciclone e una lunga chiusura ‘punitiva’. Troppo per pensare al domani con serenità, anche quando il peggio sembra passato. Tanto da avere la tentazione di spegnere per sempre la musica.

Cosa le ha fatto cambiare idea?

«Siamo cinque soci, ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di riaprire il locale. E’ stata una decisione ponderata e comune. Adesso, però, cercheremo di rivolgerci alle autorità per capire quali sono gli interventi che potremmo mettere in campo».

Misure di sicurezza?

«Contatteremo chi di dovere per cercare di adottare tutte le indicazioni per migliorare. Se si può fare di più, lo faremo perché siamo intenzionati a proseguire la nostra battaglia alla droga».

Si è chiesto il perché di una punizione tanto severa?

«Credo che il Cocco abbia pagato per il suo passato, per quello che ha rappresentato nella sua storia. E in questo modo si è voluto dare un segnale forte ai giovani. Mi piace pensarla così e a questo punto mi auguro sia davvero così. Non si può morire per quella che i ragazzi considerano una ‘bravata’».

Il Cocco è un locale sicuro?

«Abbiamo misure di sicurezza all’avanguardia, ma si potrebbe fare molto di più. Se si potesse. Penso al tampone, uno strumento utile, ma non utilizzabile. Dobbiamo fare dei passi avanti. Quindici anni fa non avremmo mai pensato di vincere la battaglia contro le stragi del sabato sera. Gli alcoltest e i maggiori controlli hanno fatto ‘miracoli’. Serve la prevenzione, non atti di forza che spesso sono risultati inutili».

Quattro mesi di chiusura forzata e di incassi mancati. Cosa vi ha permesso di sopravvivere?

«Abbiamo trovato grande disponibilità da parte di tutti i fornitori che ci sono venuti incontro dilazionando i pagamenti. Questo ci ha permesso di sopravvivere om questi quattro mesi e di poter riaprire».

Cosa le resta di tutta questa brutta storia?

«Nei momenti di difficoltà ti rendi conto di essere solo. Rimane l’amarezza perché mi sarei aspettato più vicinanza da chi vive quotidianamente in questo mondo. Non c’è stata».