Rimini, 4 novembre 2010 - La sua sentenza farà storia e giurisprudenza e forse aprirà nuovi spiragli ad altri genitori nella stessa situazione, ma ad A. P., 50 anni, di Rimini, nessuno potrà restituire quel legame col figlio (ormai da tempo maggiorenne) che non riesce a incontrare dal 2001. La Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia: non ha messo in atto tutte le misure necessarie per garantire a un padre divorziato la possibilità di vedere il figlio. Una situazione delicata quella del cinquantenne riminese, come tante nata con la rottura del matrimonio.

L’uomo, dopo il divorzio e il nuovo matrimonio dell’ex moglie, ricorre più volte al Tribunale dei minori per le molte difficoltà incontrate a esercitare il suo diritto di far visita ogni 15 giorni al figlio, affidato alla madre. Ma non basta. Si susseguono ricorsi e appelli, interessamenti dei servizi sociali, vista la difficile situazione tra gli ex coniugi e quella psicologica del bimbo, ma di fatto il padre non riesce più a vedere il figlio.

Da qui l’ultima, drammatica decisione: ricorrere alla Corte Europea per i diritti dell’uomo contro lo Stato italiano in base all’articolo 34 della convenzione con riferimento nello specifico all’articolo 8, ossia la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Recita così l’articolo in questione: "Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza".

"E’ una storia che ha dell’incredibile - commenta l’avvocato Antonio Forza di Venezia, che ha sostenuto il padre riminese nella sua lunga battaglia alla Corte Europea per i diritti dell’uomo -, una storia di mala giustizia con gravi responsabilità e omissioni del tribunale dei minorenni che non ha sorvegliato, e dei servizi sociali che, nella fattispecie, non hanno compiuto il loro dovere". Il primo luglio 2009 il riminese presenta, tramite l’avvocato Forza, la sua richiesta alla Corte di Strasburgo contro lo Stato italiano, per la violazione del "suo diritto al rispetto della vita privata e familiare".

E nella sua dettagliata sentenza, scritta in francese, dopo aver esaminato tutta l’intricata e dolorosa vicenda, la Corte l’altro giorno dà ragione al padre riminese condannando l’Italia a 15mila euro per i danni morali, più 5mila euro per le spese. «Ma per il mio cliente è una vittoria di Pirro, il suo rapporto col figlio non esiste - conclude l’avvocato Forza -. Speriamo solo che questa sentenza possa aiutare altre persone a non vivere ciò che ha vissuto il mio cliente".