Rimini, 22 ottobre 2011 - La crisi della Motor Valley lungo l’asse della via Emilia ha un precedente: quello che all’inizio degli anni Ottanta si abbattè su un irripetibile comparto dei ciclomotori che aveva trasformato questa Regione in un piccolo Giappone. Sulla scia del boom dei ‘cinquantini’ e motorizzati da Minarelli e Franco Morini, decine di imprenditori, a volte ex meccanici di biciclette si gettarono nell’impresa creando dal nulla piccole e grandi marche capaci di sfornare migliaia di modelli e di segnare, in molti casi, la storia del design industriale. Un omaggio a un’epoca che vive ormai solo nelle raccolte dei collezionisti e che meriterebbe ben altra memoria.

Vecchioni rivoleva la sua 600. Vasco che: “E adesso che non ho più il mio motorino cosa me ne faccio di una macchina?». Gaber: «limo la testa e il collettore, cambio marmitta e carburatore..». E a noi chi lo restituirà più il Milani cross 50?
E a Marco, quello ‘fighetto’, chi lo ridà più il College Prototipo? E che fine avrà fatto quel Malanca Testa rossa che faceva gli 80, ma dopo un lancio di due chilometri? Non si diventa Motor Valley per caso. Passione e competenza sono nate qui, fra i dell’Orto 12-14 smontati e rimontati alla ricerca dell’impossibile gigler o della marmitta a spillo che, più dei cinquantini, accelerava le Guzzi dei vigili urbani.
 

Dove siete Italjet Mustang, Testi Champion, Tecnomoto Squalo, Malanca Testa Rossa, Malaguti Cavalcone, Morini Corsarino? L’umile, geniale individualissima scuola che ha forgiato generazioni di piloti, tecnici ingegneri.
Tutti figli di una cilindrata minore? Errore. I ‘48’ furono varati dal codice della strada nel ’59: niente patente, niente targa, potenza massima 1,5 cavalli, velocità 40 chilometri all’ora. Fu subito boom. Avevano iniziato i meccanici di biciclette lungo la via Emilia a piazzare il «Mosquito» sotto ai pedali. L’impresa a quel punto era già in moto. Nel 1961 in Italia si immatricolano 100mila pezzi. Nel ’67 siamo a 200mila che diventano 400mila nel ’75 quando costavano fra le 100 e le 200mila lire. Nel 1980 i cinquantini toccano il loro apice: 815mila pezzi. Nel 1984 sbattono nella crisi: 330mila.
E lì, per tante piccole botteghe divenute fabbriche, inizia il mesto cammino in folle verso il declino.
Ora lasciamo la penna al cuore. Se qualche marchio ancora esiste, magari per dare una nobiltà a qualche prodotto orientale, ce ne scusiamo.
 

L’Italjet di cui andiamo a narrare non è qualla di oggi. Noi parliamo di Leopoldo Tartarini da Castel San Pietro, che riuscì persino a piazzare il suo Pack 2 (una motoretta pieghevole) al Moma di New York. Sotto la sua firma, dal 1959, sono usciti più di 100 modelli, alcuni hanno fatto la storia del design. Vampiro e Mustang tanto per citare. E raccontiamo della Testi da San Lazzaro di Savena (1951-1983), capace di sfornare 30mila unità all’anno fra gli anni ’60 e ’70. Esportava in 32 paesi, dava da lavorare a 120 emiliani e l’unico casco che serviva era quello di Caterina Caselli sulle pagine pubblicitarie. E tocca alla Malaguti, (1930-2011) che vendette il suo ‘tubone’ Fifty in 250mila esemplari. Nel 1980 produceva 200 motorini al giorno con 170 dipendenti e 500 punti vendita.
 

Forza, chi non ricorda la biondina del liceo che poggiava i jeans e il mistero che racchiudevano sul College della Oscar di Rastignano (1965-1982)? Un prodigio industriale: un tubo che faceva da telaio e serbatoio, scendeva giù, perfetto per la gonna, e risaliva verso la sella. Addio Milani di Cesena (1964-1979), con la carrozzeria in vetroresina, materiale spaziale allora: gli prestarono il volto Gino Bamieri e Walter Chiari. Negli anni ’70 faceva 7mila pezzi all’anno.
E Malanca (1956-1986) dove la mettiamo? Fabbrica a Bologna, esportazioni negli Usa, e in Asia. Nel 1971 valeva 20mila pezzi all’anno, grazie anche alle corse. Mise in sella piloti come Walter Villa e Otello Buscherini, vinse gare mondiali e titoli tricolori.
 

Un attimo di silenzio per la Mondial (1933-1979) di Bologna. Qui siamo nell’olimpo. Pagani, Ubbiali, Villa, Provini portarono sotto le Due torri dieci titoli mondiali, fra piloti e marche. Chi ha voglia di spingersi fino a Porretta Terme sarà ripagato dal museo Demm, 50 modelli di moto da competizione, da turismo e motorini prodotti fra il 1952 ed il 1982. Citiamo a memoria e Internet, sicuramente dimenticando qualche pezzo di storia e di cilindro: Cimatti (1937-1985), Meteora di Zola Predosa (1953.1985), Lem di Calderara (che ora mette in sella i bimbi, Muller di Bologna (1950-1979), Cm Bologna (1930-1960), Foroni di Modena (1975-1980,)Ghiaroni (1966-1993), Bonvicini di Bologna ( 1950-1970), Romeo-Motron di Modena (1961-2000), Moto Biro’s di Cesena, Gkd di Bologna (1978-1985), Bm di Rastignano, Negrini (1954-72) di Vignola, Ufo di Bologna ( 1976-1983), Omer (1968-81) di Reggio Emilia, Tecnomoto (1968-1979) pure di Vignola, Titan Cycle (1973-1990) di San Marino, Unimoto (1980-1988) di Longiano.

Tutto o quasi parte dalla Fbm, costituita da Franco Morini e Vittorio Minarelli nel 1951, che si divide nel 1956 in due derivate: la Franco Morini e la Minarelli Motori. E sono proprio i loro motorini che spingono i sogni dei grandi imprenditori e di tanti ormai imbolsiti ex ragazzini.
Dietro a loro nasce un comparto: Bernardi Mozzi (freni e ruote), Campagnolo (ruote), Faco (marmitte), Grimeca (ruote), Malossi (carburatori e relative modifiche), Marzocchi (forcelle e ammortizzatori) e soprattutto Verlicchi, telai, un’altra fetta di storia industriale che si è sbriciolata. Era qui il Giappone e chissà dove l’hanno cacciato.
L’ultimo omaggio è per la Morini (1937), la cocca di casa. Agostini e Provini, titoli mondiali, l’orologeria applicata al quattro tempi. Oggi ci si arrabatta per rescuscitare un 1200cc, ma qui siamo nel regno dei cinquantini. E allora ci lasciamo col mitico Corsarino (1963-1977). Ah, con un litro (di benzina, non di miscela) faceva 50 chilometri...