Rimini, 30 ottobre 2011 - LA TELEVISIONE ha prima inquadrato le lacrime della fidanzata di Marco Simoncelli sul circuito di Sepang. Poi ha reso pubblico tutto il dolore racchiuso nel viso di Kate Fretti.

Kate, come va, adesso?
«Così. Non ho ancora capito come sto. A tratti bene, a tratti male».

Perdoni la banalità: che cos’era Marco per lei?
«La risposta è scontata: un punto di riferimento come io ero il suo, come in ogni coppia. Se penso a lui, e lo penso in ogni momento, capisco che i suoi pochi difetti erano stupidate, il fatto che arrivasse sempre in ritardo o le cavolate che ci facevano litigare. Marco era fatto benissimo».

Adesso, a nemmeno ventitré anni, ha conosciuto il dolore.
«È da domenica che mi sento dire che certi dolori è meglio provarli da giovani, perché c’è tempo per rifarsi una vita, per ricostruire. Marco è morto a ventiquattro anni. Io non so se arriverò a diventare vecchia. Certo che se lo fossi già avrei meno tempo da aspettare prima di ritrovare Marco».

Come convive con il dolore?
«Sto reagendo nel modo giusto. Forse perché ho esaurito tutte le mie lacrime. Forse perché sento attorno l’affetto di tanta gente. Forse perché non siamo mai soli. Forse è Marco che mi dice ‘Basta, non posso più vedervi così’. È lui che mi dà la forza di reagire, di non soccombere di fronte al dolore. Dicono che Dio metta alla prova solo quelli che sa che possono andare avanti».

È credente, Kate?
«Non lo so. Me lo hanno chiesto tutti. Sono cattolica per educazione, ma non ho ancora capito in cosa credo esattamente. Credo nell’anima, questo sì. Credo che l’anima si separa dal corpo che è morto».

Domenica, la domenica nera sul circuito di Sepang.
«Appena ho visto rotolare il suo casco ho sperato che fosse solo un incubo. Sono andata a letto sperando di risvegliarmi la mattina e che non fosse vero».

Come lo ha salutato il giorno del funerale?
«Gli ho detto: ‘Guarda che sono qui ad aspettarti, dammi un segno che stai bene, che ci guardi e ci guidi’. Non è vero che dopo la morte non c’è niente. Per questo sono qui ad aspettare un segno da Marco».

La cosa più bella ricevuta da lui.
«Natale di due anni fa. Ero in casa, triste perché dovevo lavorare, non potevo andare a Riccione come gli altri anni. Piangevo con lui al telefono. Nel pomeriggio hanno suonato. Era Marco. Diceva che se mi avesse sentita piangere sarebbe venuto da me anche se si fosse trovato nell’altra parte del mondo».

Cosa farà ora?
«Rimarrò ancora qualche giorno con i genitori di Marco. Tornerò a Bergamo. Mi cercherò un lavoro. Come allora, con il mio diploma di ragioneria in tasca. Ma con tanta esperienza in più».