Rimini, 3 febbraio 2013 - Il ‘re’ delle televendite è nudo. Ci ha pensato su parecchio Giorgio Corbelli, fondatore di Telemarket, poi ha dato l’annuncio attraverso la sua stessa emittente televisiva: "Svendiamo tutto: quadri, sculture, tappeti, gioielli". Fine delle trasmissioni, per la televisione fondata nel 1982 dall’imprenditore riminese (quando aveva solo 27 anni), la prima in Italia a vendere oggetti d’arte dal piccolo schermo.

Corbelli era riuscito a costruire un piccolo grande impero in questi anni: grazie ai primi successi con Telemarket, aveva acquistato la casa d’aste Semenzato ed era diventato azionista di Finarte, la storica casa d’aste milanese dichiarata fallita nel 2012. "Ora si chiude, ho deciso. In un paese come l’Italia, dove si criminalizza chiunque acquisti un quadro o un’opera, non ha più senso andare avanti con l’attività".

Corbelli, davvero non c’era possibilità di andare avanti?
"La crisi aveva già picchiato duro a partire dal 2008, ma con l’arrivo del governo tecnico i nostri affari sono colati a picco. Le faccio soltanto un paio di numeri: nel 2005 siamo riusciti a fatturare 111 milioni di euro vendendo oltre 70mila pezzi, l’anno scorso ci siamo fermati a 32 milioni. In queste condizioni non si va avanti".

Tutta colpa di Monti insomma?
"Nel nostro caso, ha avuto sicuramente una bella fetta di responsabilità. Ma non è così solo per l’arte: vale per l’edilizia, per molti altri settori. Ci hanno praticamente costretto a far chiudere un’azienda nata 30 anni fa, che dava lavoro a 100 dipendenti senza considerare l’indotto".

L’addio di Telemarket ha fatto molto scalpore. Non c’era altra via d’uscita?
"Se avessimo aspettato anche solo un altro anno avremmo impoverito il nostro patrimonio, con una situazione ben peggiore rispetto a quella in cui ci troviamo oggi".

Che fine faranno tutte le opere, i gioielli e i tappeti che Telemarket ha ancora nei magazzini?
"Siamo in liquidazione, quindi si sta cercando di svuotare i magazzini vendendo tutto. Perché Telemarket, per chi non lo sapesse, ha sempre venduto in tivù ciò che acquistava. Non siamo mai stati intermediari, ma abbiamo rischiato coi nostri soldi investendo su questo o quell’artista".

Il suo è un addio anche al mondo dell’arte, o rimarrà a fare l’imprenditore in questo settore?
"No, mi sto già muovendo in Cina, con un progetto simile a quello di Telemarket. E’ molto difficile, ma non abbiamo altra scelta, siamo costretti a guardare fuori, all’estero. L’Italia è un Paese che non ha futuro, se si continua a tartassare la gente in questo modo".


Manuel Spadazzi