Rimini, 27 maggio 2013 - Porsche Cayenne vendute a trafficanti di droga che le hanno pagate con i soldi provenienti dal ‘giro’. Un affare che è costato ai fratelli Cesare e Alessandro Antonelli, ex titolari della nota concessionaria di Audi e Volkswagen, un’accusa di riciclaggio.

L’inchiesta, partita da Milano, ha poi messo le ‘radici’ a Rimini, dove hanno indagato i militari della Guardia di finanza. Il pubblico ministero ha appena mandato l’avviso di conclusione indagini, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio che al reato di riciclaggio, aggiunge anche quelli di evasione fiscale e di accesso abusivo al credito. I due, difesi dagli avvocati Stefano Caroli e Luigi Patimo, respingono però tutte le accuse: non potevano certo sapere chi erano gli acquirenti di quelle macchine.

Secondo la ricostruzione fatta dalle Fiamme Gialle, gli acquisti sarebbero avvenuti nel 2007, attraverso una società di autonoleggio sammarinese, riconducibile a loro. Grazie a questa, dicono, avrebbero nascosto gli effettivi acquirenti delle tre auto di lusso, vendute, appunto, ai componenti di una banda criminale, oggetto di una grossa inchiesta milanese su un traffico internazionale di stupefacenti. In sostanza, dicono, ci sarebbe stata una cessione fittizia delle macchine dall’Italia alla società del Titano che le ha consegnate ai proprietari in questione, con la stipula di un contratto simulato di autonoleggio con annessa una ‘delega’ per condurre l’autovettura.

La seconda accusa che viene contestata ai due imprenditori, è quello di accesso abusivo al credito. Per gli investigatori, nella loro qualità di soci della ‘F.lli Antonelli srl’, di via XXIII Settembre "ricorrevano al credito, dissimulando la loro difficile situazione finanziaria, incrementando notevolemente le vendite delle auto, ponendole sul mercato a un costo inferiore al relativo valore commerciale, non supportando ciò con investimenti di capitale proprio, ma utilizzando linee di credito bancarie, in modo da continuare a dissimulare il dissesto verso i creditori, per poi giungere a mettere in liquidazione l’azienda".

L’unico obiettivo, sostiene invece la difesa, era quello di cercare di salvare l’azienda, senza alcuna intenzione di violare la legge. Come ogni imprenditore, speravano di riuscire a risollevarsi. A questo, gli inquirenti aggiungono anche l’accusa di avere omesso di verare l’iva, per un totale di 318mila euro.

Un castello di carte, sostengono gli inquirenti, che crollò quando Autogerma, l’importatore ufficiale dei due marchi, vista l’esposizione della società bloccò tutto. Per evitare il fallimento, a fronte di un ‘buco’ quantificato in circa 20 milioni di euro, gli Antonelli hanno messo tutto il loro patrimonio nelle mani della banca, nominando un liquidatore proposto dallo stesso istituto di credito.