Rimini, stupro di gruppo. I giudici: "Butungu brutale e ossessionato dal sesso"

Così viene descritto il congolese nella sentenza di condanna per le violenze sessuali di Miramare

COLPEVOLE  I giudici del tribunale di Rimini hanno condannato Guerlin Butungu a 16 anni di reclusione per le rapine e il duplice stupro di agosto. Scontata la pena, sarà espulso

COLPEVOLE I giudici del tribunale di Rimini hanno condannato Guerlin Butungu a 16 anni di reclusione per le rapine e il duplice stupro di agosto. Scontata la pena, sarà espulso

Rimini, 15 febbraio 2018 - «Un capo violento, di una brutalità inaudita, desideroso solo di soddisfare il suo impulso sessuale dopo aver rapinato e pestato a sangue chi tentava di resistergli. Un ragazzo che non ha mai mostrato pentimento o consapevolezza del male fatto». Questo, in pillole, il ritratto di Guerlin Butungu, il capo del branco che seminò il terrore a fine agosto sulla spiaggia di Rimini, culminato con il duplice stupro, vittime una giovane turista polacca, violentata per un’ora dal branco e una peruviana, anche lei stuprata sulla Statale.

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Un ritratto, quello del ventenne congolese, che è stato tratteggiato dai giudici del tribunale di Rimini, nella sentenza che lo ha condannato a sedici anni di carcere (contro i 14 anni e quattro mesi chiesti dal pm Stefano Celli) per quella lunga scia di terrore che ha lasciato insieme ai suoi complici, tre minorenni (condannati, pochi giorni fa, a nove anni e 8 mesi dal tribunale dei minorenni di Bologna con rito abbreviato). Parole che non lasciano spazio ai dubbi, quelle scritte nero su bianco, nel dispositivo dei giudici.

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«Butungu è stato colui che ha preso l’iniziativa, il primo ad agire, il più violento, il più determinato, l’unico a tentare la fuga dopo i fatti e a negare, almeno inizialmente, la propria responsabilità, il soggetto maggiormente attivo mella realizzazione delle condotte delittuose tanto da essere percepito come capo dalle vittime», si legge. Il congolese appare «come il meno radicato nel nostro Paese rispetto agli altri tre (che sono nati in Italia; ndr). Non è riuscito a integrarsi se non negli aspetti che attengono allo sballo giovanile, fatto di molto tempo libero, di svago, di frequenti escursioni notturne nel divertimentificio riminese».

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Il «fare serata», come scrivono i giudici, che in realtà, presentava «un programma criminoso delineato e deliberato fin dall’inizio, almeno nelle sue linee generali, idoneo ad essere replicato ad ogni uscita, con assunzione di alcol, stupefacenti, ottenimento di rapporti sessuali non necessariamente consenzienti e l’impossessamento di smartphone e oggetti di valore altrui», con Butungu a recitare il ruolo di capo indiscusso. Il congolese, tramite i suoi legali, aveva raccontato un passato difficile come bambino-soldato in Africa, ma i giudici «non hanno elementi a disposizione per ritenere provato quanto detto».

Emerge solo in Butungu «un forte interesse alla dimensione sessuale e una propensione alla violenza che nessuna tradizione culturale potrà mai giustificare. Il suo disagio sociale non può bastare a costituire circostanza attenuante». Una violenza inaudita, quella messa in atto quella maledetta notte di agosto, da Butungu contro i giovani turisti polacchi (assistiti dall’avvocato Maurizio Ghinelli) e contro la peruviana (assistita dall’avvocato Enrico Graziosi) «del tutto superflua rispetto al fine perseguito, oltremodo sproporzionata per ottenere un telefonino o pochi soldi, una violenza reiterata e del tutto gratuita per consentire a tutti gli aggressori più di un rapporto sessuale, superando ogni barriera».

I giudici scrivono che «simili atti di violenza così brutali lasciano conseguenze importanti nella psiche oltre che nel fisico, danni che devono dare alle vittime ad un consistente risarcimento». Ma nel congolese «non c’è nessun pentimento o costrizione, non c’è alcuna elaborazione critica che faccia comprendere il perché di tanta inaudita ferocia».