Rimini, clandestini nella nuova questura

Il nostro viaggio: "In spiaggia è troppo freddo, ora dormiamo qui"

A fianco l’auto del titolare della società fallita, che ha costruito la nuova questura, abbandonata davanti alla struttura

A fianco l’auto del titolare della società fallita, che ha costruito la nuova questura, abbandonata davanti alla struttura

Rimini, 17 luglio 2017 - Grand Hotel nuova questura: avanti c’è posto.. Lo stabile di via Melucci è diventato una sorta di albergo a 5 stelle per immigrati irregolari, sbandati e clochard, che specie durante i mesi estivi lo utilizzano come rifugio. Molto più accogliente rispetto ad ex colonie in rovina, sottopassi trafficati o alberghi fatiscenti. Qui è tutto nuovo - dagli infissi ai soffitti - anche se vandalizzato come se non ci fosse un domani. Ma nessun clandestino protesta per questo regalo della provvidenza: manca solo che qualcuno degli ospiti si lamenti perché è stata prosciugata la piscina naturale degli anni scorsi. Niente numeri da tutto esaurito, ma qualche presenza poco turistica nel ventre del gigante abbandonato da 29mila metri quadri - cinque corpi di fabbrica tra questura vera e propria, alloggi degli agenti, impianti, poligono e sale operative - si registra piuttosto spesso. I clandestini li abbiamo incontrati nel nostro piccolo tour di perlustrazione nella tarda mattinata di ieri.

Tre immigrati di origine tunisina, che avevano allestito alla bell’e meglio una delle stanze al primo piano dell’immobile principale. Letti con coperte e cuscini, suppellettili, bottiglie di birra e acqua, bicchieri, un tavolino, sedie, oggetti personali, forbici, cellulari, biancheria di ricambio, pure un peluche... Tre ragazzi, giovani, impauriti dal nostro arrivo. Tranne quello che sembra il capo - di certo il più anziano del trio - che chiameremo ‘Ashraf’, dice di avere «trent’anni», di essere «originario di Tunisi», «clandestino in Italia da nove anni», di avere «già abitato in Svizzera, dove ho un figlio di due anni».

«Veniamo da Bologna – spiega Ashraf –, dove paghiamo 150 euro al mese a testa un letto, in nero. In nero anche qualche lavoretto che faccio, come elettricista, barbiere o altro. Ci siamo conosciuti lì, non in Tunisia. Qui a Rimini gli alberghi costano troppo, abbiamo dormito in spiaggia qualche notte, ma è freddo. Stiamo in questo posto da una settimana». A fare cosa, ci verrebbe da chiedere. Ma evitiamo. «Abbiamo girato un po’ per Rimini con un amico – continua Ashraf mentre giochicchia con un coltello multiuso di fabbricazione elvetica – finché non abbiamo trovato questo posto. Non lo conoscevamo. Ma adesso ce ne andiamo via, non vogliamo guai».

Continuiamo il tour. Lo spettacolo è quello di sempre. Desolante. Spettrale. Porte sfondate, o divelte dai cardini per essere sfruttate come letti; impianti elettrici e dell’aria condizionata fatti a pezzi; qua e là estintori ammassati; resti di cibo, escrementi, cocci di vetro, scatole di sigarette vuote, lattine di birra e bottiglie d’acqua vuote nelle camere e nei corridoi. In qualche camera carte di alluminio bruciate, accendini e siringhe: segno che qualcuno lì si è preparato dosi di droga. In molti ambienti sono stati divelti anche soffitti e pavimenti. A salvarsi solo i magnifici soffitti in legno a vista della sala che era destinata alla mensa, e quelli della palestra. Sradicate anche diverse finestre, sparito il rame degli impianti, rubate (da tempo) tubi e rubinetteria. Gli ospiti entrano forse dal lato nord, lato grande parcheggio, scavalcando una cancellata e entrando dal piano dei garage. Enorme, e costruito per far parcheggiare anche pesanti blindati. Vicino ci sono le celle, con telecamere murate nel soffitto. In un prato, abbandonata, la Volvo S60 di Gianfranco Damerini, ex titolare della società DaMa che ha costruito l’immobile, poi fallita. Quadro disarmante. Ma si lavora per un recupero del gigante in rovina.