Rimini, tolto il motto di Auschwitz dall’officina. "Non riuscivo più a lavorare"

Il meccanico ci ripensa: "Non voglio offendere nessuno"

Officina dopo che è stata tolta la scritta che veniva posta all’ingresso dei lager nazisti

Officina dopo che è stata tolta la scritta che veniva posta all’ingresso dei lager nazisti

Rimini, 24 gennaio 2018 - «Sono stato massacrato, non riesco a lavorare per rispondere alle telefonate. Comunque il cartello l’ho già smontato, non pensavo di avere dei problemi del genere». Travolto dalle chiamate di protesta (insieme a quelle di giornalisti e di amici) Alessandro Bertuccioli alza bandiera bianca. Il titolare dell’officina meccanica sulla via Popilia, al cui ingresso aveva appeso un maxi-cartello con la scritta ‘Arbeit macht frei’ (‘Il lavoro rende liberi’), la stessa che campeggiava sinistra e beffarda all’entrata del lager di Auschwitz e di altri campi di concentramento, ha fatto marcia indietro. «Non voglio offendere nessuno – aggiunge – e neanche perdere altre giornate di lavoro, non ho tempo».

Tra le centinaia di telefonate che lo hanno bersagliato, spiega l’interessato, anche quelle degli amici. Con frasi del tipo ‘Sei diventato una star’, ‘Sei in prima pagina’, spiega. «Non ci tengo, smonto tutto», taglia corto Bertuccioli. Che declina anche l’invito arrivato dall’amministrazione comunale, che gli ha offerto un «posto riservato» alla proiezione del film su Auschwitz, prevista per questa sera nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata della memoria, il 27 gennaio in tutto il mondo, in ricordo dell’Olocausto di sei milioni di ebrei sterminati nei lager. Ieri Bertuccioli si era giustificato spiegando di non conoscere il significato storico della scritta, ma solo quello letterale: «Il lavoro rende liberi, la frase mi piaceva», aveva detto.

«Non credo l’abbia messa per caso, ma che abbia voluto fare uno sfregio – commenta indignata Patrizia Tamburini, figlia di Umberto, il riminese sopravvissuto ai campi di prigionìa in Germania, fuggito da quello di Berlino il 2 aprile 1945, dopo due anni di «stenti e sofferenze incredibili», mancato lo scorso 21 novembre, a 96 anni. Era presidente dell’Anei provinciale, l’Associazione ex internati nei lager. Carica poi conferita elettivamente all’altra figlia, Sonia, sorella di Patrizia e Valter (consiglieri). «Il lavoro nei lager rendeva schiavi, non liberi – prosegue Patrizia Tamburini – mio padre lavorava giorno e notte, nutrito a pane e acqua, e chi si ammalava non osava dirlo, perché dalle infermerìe non ritornava vivo nessuno. Ne sono morti tantissimi in quell’inferno. Anche lui era sicuro che non avrebbe mai più rivisto Rimini. Quando è tornato a casa pesava 45 chilogrammi, e per anni non ha trovato la forza di raccontare niente ai suoi famigliari e poi a mia mamma e a noialtri figli. Ha iniziato a parlarne solo quando lo Stato italiano, qualche anno fa, ha istituito la Giornata della Memoria». Cosa direbbe a Bertuccioli, se lo incontrasse? «Gli chiederei ‘ma ti sei reso conto di cosa hai fatto?’»,