L'omicidio di Tamara Monti, la sorella: "Il killer riceve più assistenza di noi"

La sorella di Tamara: «Lui è in cura da medici e psichiatri, i miei genitori lasciati soli»

Tamara Monti

Tamara Monti

Riccione (Rimini), 3 febbraio 2015 - Venticinque coltellate sferrate nell’atrio di casa. Quella casa che Tamara Monti stava per lasciare, per trasferirirsi nella nuova abitazione a San Clemente comprata insieme al fidanzato. Per Tamara, addestratrice dei delfini al parco Oltremare di Riccione, non c’è stato nulla da fare. Inutili i soccorsi: quei colpi inferti con tanta violenza non le hano dato scampo. E’ morta così Tamara Monti, in quella tragica serata del 2 febbraio 2007, per mano di Alessandro Doto. Un omicidio senza alcuna spiegazione, se non la follia del suo assassino. Doto, disoccupato, viveva nell’appartamento in viale Po con i suoi genitori, sopra quello in cui stavano Tamara e il fidanzato, Robert Gojceta, anche lui addestratore di delfini a Oltremare. «Non sopportavo i suoi cani che abbaiavano tutto il giorno», ha raccontato poi Doto al suo avvocato. Al legale disse che non voleva uccidere Tamara, ma soltanto spaventarla. In realtà, l’autopsia ha dimostrato che quei colpi erano stati vibrati con tanta ferocia per uccidere. Tamara ha anche cercato di difendersi, ma lui ha continuato a pugnalarla. Doto è stato condannato a 14 anni di carcere, più un periodo di cura da scontare (prima della galera) in un ospedale psichiatrico giudiziario.

Tamara che nuota con Mary G. Tamara che gioca con gli altri delfini a bordo vasca. Il volto sempre sorridente, i capelli corti biondi e gli occhi azzurri come il suo amato elemento: l’acqua. Sono le immagini che accompagnano il sito web dell’associazione ‘Tamara Monti’, la onlus fondata dalla sorella e dal cugino dell’addestratice uccisa nel 2007 a Riccione, Sabrina Monti e Livio Moiana. Dopo la morte di ‘Mara’, loro e la piccola comunità di Olgiate Comasco, il paese d’origine della ragazza, si sono dati da fare per organizzare eventi e iniziative di beneficenza. «Il ricavato è stato compleatamente donato alle case famiglie che ospitano bambini in affido o che vengono da situazioni familari problematiche – racconta Livio – Ma l’associazione si occupa anche di un’altra attività: sensibilizzare lo Stato e tutte le istituzioni affinché si prendano finalmente cura delle famiglie delle vittime della violenza. Come la nostra». «Lo Stato ci ha abbandonato, ci ha lasciato soli nel nostro dolore – gli fa eco Sabrina, la sorella di Tamara – Non abbiamo avuto alcun sostegno».

E neanche un risarcimento, per l’omicidio di Tamara.

«No, nemmeno quello – conferma Sabrina – Ma a noi non interessavano i soldi: nessuno potrà ridarci Tamara, non c’è alcun prezzo per questo dolore».

Vi aspettavate però un supporto maggiore dalle istituzioni.

«Assolutamente sì. L’omicidio di Tamara ha devastato la mia famiglia. Mia madre, da allora, è in cura da uno psichiatra. Mio padre si è gravemente ammalato: non posso non pensare che la causa sia anche la morte di ‘Mara’. Eppure nessuno dallo Stato si è fatto vivo con la nostra famiglia, anche solo per informarsi, per sapere se avevamo bisogno di un’assistenza psicologica. Niente di tutto questo. E intanto Doto viene seguito da psichiatri e medici. E’ giustizia questa?».

I giudici, in compenso, hanno sempre confermato la condanna a 14 anni di carcere, preceduti da un periodo di cura presso un ospedale psichiatrico giudiziario.

«Hanno capito che era una persona pericolosa, che poteva fare ancora quello che ha fatto a ‘Mara’. Se fosse andato subito in carcere, avrebbe avuto anche uno sconto di pena».

Avete mai parlato con la famiglia Doto?

«Mia madre ci ha provato. Voleva sfogare tutta la sua rabbia. Ma poi glielo abbiamo impedito. Si sarebbe solo fatta del male».

E con l’allora fidanzato di Tamara, Robert, vi sentite ancora?

«Ci siamo tenuti in contatto per anni, poi lui è andato all’estero e ci siamo un po’ persi. Per caso abbiamo saputo qualche anno fa che aveva venduto la casa a San Clemente che aveva comprato insieme a Tamara. Capisco le sue ragioni, ma poteva avvisarci: in quella casa c’erano molte cose di ‘Mara’, e tantissimi ricordi. Avremmo voluto conservarli. Forse era destino che Tamara non riuscisse finalmente a mettere su casa».

In che senso?

«A Olgiate, il nostro paese, aveva appena comprato un appartamento quando l’hanno chiamata a fare l’addestratrice di delfini a Riccione. Poi, quando a Riccione stava per trasferirsi in un appartamento con Robert, l’hanno mandato per un lungo periodo al parco di Fasano. E finalmente, quando aveva deciso di comprare casa con lui a San Clemente, ce l’hanno ammazzata». Sabrina non usa mai la parola «perdono», mentre parla. Non ci riesce.