Padre Gratien resta in carcere. Il Gip nega i domiciliari al frate

Bocciata l’istanza di scarcerazione, l’avvocato Zacheo farà ricorso al Riesame

L’ex parroco padre Gratien Alabi, fuori dal tribunale di Arezzo

L’ex parroco padre Gratien Alabi, fuori dal tribunale di Arezzo

Rimini, 20 ottobre 2015 - PADRE Gratien Alabi resta in carcere. Il gip del tribunale di Arezzo, Pier Giorgio Ponticelli, non ha dubbi e boccia l’istanza di scarcerazione del frate congolese, in cella da fine aprile con l’accusa di omicidio volontario, occultamento e distruzione del cadavere di Guerrina Piscaglia, la mamma 50enne scomparsa da Ca’ Raffaello (in Valmarecchia) dal 1° maggio del 2014. Altro che domiciliari, altro che ritiro nel convento romano dei premostratensi, sia pure col braccialetto elettronico. Alabi deve rimanere nella sua cella ad Arezzo, in attesa del processo, previsto per il 4 dicembre.

Si va dritti alla Corte d’Assise, a meno che, come già annunciato, l’avvocato del sacerdote, Francesco Zacheo, non presenti ricorso al tribunale del Riesame. In quel caso i giudici fiorentini sulla scarcerazione dovranno pronunciarsi prima che cominci il processo. Con poche speranze per il frate, a dire il vero, visto che già era stato respinto il ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare del 23 aprile.

Il «no» di Ponticelli è arrivato ieri in tardissima mattinata, proprio allo scadere dei termini. Il dispositivo è secco, più articolate le motivazioni. Secondo le prime indiscrezioni, il Gip ha bocciato su tutta la linea le trenta pagine che erano state presentate da Zacheo martedì scorso. Lì si parlava di mancanza di indizi, con una puntigliosa operazione di demolizione dell’impianto accusatorio della procura, per il Gip invece i gravi indizi ci sono eccome.

Difficile che potesse argomentare diversamente, visto che era stato proprio lui a firmare il mandato d’arresto, poi eseguito dai carabinieri nel convento romano dell’ordine religioso cui padre Gratien appartiene. Secondo Ponticelli rimangono anche le esigenze cautelari, cioè il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Se si parte dall’assunto della procura, fatto proprio anche dal giudice, che il frate sia l’autore del delitto, non si può non ricavarne che resta un cadavere ancora da trovare e che un potenziale colpevole cui si restituisse una libertà di movimento, anche parziale, potrebbe renderne ancor più difficile la ricerca. Gli argomenti che Zacheo aveva speso nella sua istanza, dalla confusione negli avvistamenti di quel primo maggio 2014 in cui Guerrina scomparve, alle figure non sufficientemente approfondite del marito Mirco Alessandrini e del pizzaiolo etiope Dawit Tadesse, dovranno ora essere utilizzati davanti alla Corte d’Assise, nella speranza di trovare almeno lì giudici disposti ad ascoltarli.

Intanto, la difesa può giocarsi la carta della scarcerazione davanti a Riesame e poi Cassazione, ma il rischio è che al primo giudicato cautelare (cioè il primo «no» che i giudici fiorentini diedero a maggio scorso all’istanza presentata dall’allora avvocato Luca Fanfani) se ne aggiunga un secondo. Perchè è difficile pensare che il Riesame abbia nel frattempo cambiato opinione su un quadro indiziario che resta grossomodo lo stesso. Qualche spiraglio, semmai, potrebbe aprirsi in Cassazione, ma se va male, è un altro precedente che può pesare pure sul verdetto dell’Assise.

Anche se padre Gratien continua a dirsi innocente e pronto ad andare davanti ai giudici popolari per dimostrarlo, la situazione giudiziaria del religioso si fa sempre più ingarbugliata. Il pericolo per lui è di rimanere in galera fino alla sentenza d’Assise e ci vorranno mesi. Se poi dovesse arrivare una stangata, la carcerazione preventiva potrebbe allungarsi ancora. In cella, in questi casi, si sa quando si entra, ma non quando si esce.