L'Adriatico è il mare delle tartarughe: "Qui c'è tanto cibo"

Crescita record dal 2004: +50%. L’analisi dell’esperto Sauro Pari

Caretta caretta in una foto del WWF

Caretta caretta in una foto del WWF

Rimini, 18 ottobre 2017 - Adriatico, il mare delle tartarughe. Chi lo avrebbe detto che al largo delle spiagge e dei locali della notte ci fosse una silenziosa e numerosissima popolazione di tartarughe. Nel 2004, le stime fatte per l’Adriatico parlavano di 50mila esemplari di cui la quasi totalità della specie Caretta Caretta. Con il passare degli anni quelle stime sono state riviste. D’altronde nell’ultimo decennio sono aumentati esponenzialmente i ritrovamenti di esemplari spiaggiati morti e quelli di tartarughe ferite in mare per effetto, spiegano dalla Fondazione Cetacea, della pesca. Aumenti spiegabili con una crescita sensibile della presenza delle tartarughe nell’alto Adriatico. Il mare tra il Conero e Trieste è diventato una sorta di casa per migliaia di esemplari. Una presenza variabile tra i 25mila e i 45mila esemplari che sta diventando anche un’opportunità di conoscenza attraverso l’ospedale delle tartarughe della Fondazione a Riccione. La visita è diventata un prodotto per tour operator. 

«Perché ci sono così tante tartarughe nel nostro mare? Perché si mangia bene, siamo romagnoli». Sauro Pari presidente della Fondazione Cetacea onlus ci scherza su, ma non si sbaglia. «L’aumento è dovuto alla presenza di cibo in grandi quantità, cosa che attira questi esemplari. Il nostro mare ha queste caratteristiche. Le tartarughe nascono nello Ionio, nell’Egeo e nel Nord Africa poi vengono qua a cibarsi. Trovano alghe, meduse e granchi, preferibilmente, ma non disdegnano cozze e vongole tanto che la loro presenza aumenta nelle aree dove ci sono allevamenti di mitili». Un grande ristorante. «La conseguenza è la crescita di esemplari presenti in mare. Un aumento del 50% in oltre dieci anni. Ricordo che nel 2004 un censimento dava la loro presenza nell’ordine dei 50mila esemplari in tutto in Adriatico. Oggi siamo già arrivati a 75mila. Inoltre buona parte si trova compresa nella parte che va dalla zona di Ancona a Trieste. Ci dicono tra i 25mila e i 45mila, ma posso dire che siamo molto più vicini a 45mila». Qual è la presenza delle Caretta Caretta rispetto ad altri esemplari? «È una presenza preponderante. Almeno il 99% è Caretta Caretta, una specie che può raggiungere i 110 centimetri di lunghezza e un peso di 180 chilogrammi. Ma capita di incontrare anche altre specie, per l’esattezza sono due. La Chelonia mydas è una tartaruga verde, ed è molto più rara. Può arrivare a una lunghezza di 125 centimetri con un peso di 230 chilogrammi. Poi c’è la Dermochelys coriacea o tartaruga liuto. Gli esemplari adulti possono arrivare a raggiungere i 2 metri di lunghezza e un peso di 600 chili». Le avete mai ospitate nell’ospedale delle tartarughe? «È capitato con le tartarughe verdi. In dieci anni di attività ne abbiamo curate quattro». Una goccia rispetto al lavoro che avete svolto. «In effetti se guardiamo al numero di ricoveri di tartarughe Caretta caretta, arriviamo a circa 800». Quante ne avete curate e poi liberate? «Siamo nell’ordine delle 550. Oggi ne stiamo ospitando 11 e sabato ne metteremo in libertà 4 di queste. Per le altre serve ancora del tempo. Nel complesso l’ospedale delle tartarughe può ospitare 42 esemplari in vasche singole. Quest’anno ne abbiamo già liberate 58». Un bell’impegno. «Gestirlo significa investire ogni anno 180mila euro tra strutture e cure. Ci sosteniamo unicamente con il volontariato, le donazioni dei privati, il 5 per mille e le adozioni online attraverso l’iniziativa ‘adotta una tartaruga’».  In passato ha lamentato più volte i danni della pesca sulla popolazione delle tartarughe. Sono stati fatti passi in avanti? «Direi di sì. La sensibilità dei pescatori è aumentata e oggi diversi ci chiamano appena trovano nelle reti un esemplare, così che noi possiamo subito intervenire per curarlo. Cetacea rappresenta ormai un punto di riferimento anche per le Capitanerie di Porto e per le autorità. Di fatto forniamo un servizio che si è talmente radicato sul territorio da essere ormai considerato ‘servizio pubblico’, ma senza nessun sostegno economico, che sia chiaro». Oltre all’ospedale come va il centro aperto al pubblico? «Si chiama Adria. È un centro di recupero animali marini e di divulgazione sul mare Adriatico. Possiamo contare su diverse sale espositive, una sala video, un laboratorio didattico, una sala conferenze e una biblioteca specializzata».  Siete diventati anche meta turistica? «Didattica. Grazie a un tour operator negli ultimi anni abbiamo visto arrivare diverse scolaresche provenienti da più parti d’Italia».