Malata terminale costretta a lavorare

Precaria colpita da tumore non lascia l’impiego: "Quei soldi mi servono" di Grazia Buscaglia

Una persona malata di cancro

Una persona malata di cancro

Rimini, 16 luglio 2014 - Adesso è là, nel suo letto, nelle ‘casine’ di via Ovidio, che aspetta che arrivi la sua ora e trovare quella pace che quaggiù, fra di noi, non ha avuto. Fino alla fine, fino a quando ha avuto la forza di reggersi in piedi, V. C., originaria di Napoli, 50 anni, ma ben 25 vissuti a Rimini, ha pensato solo ed esclusivamente al lavoro. Non alla carriera, ma semplicemente a non perdere quel posto, precario, anzi precarissimo, fatto di contratti a progetto o a chiamata presso un call center.

«Non posso stare a casa, devo andare al lavoro, altrimenti come faccio a pagare le bollette, l’affitto, non posso», ha continuato a recitare, quasi in una sorta di rosario, V. al fratello maggiore Riccardo che vive in Belgio ed è arrivato qui per assisterla. Eppure la sorte non aveva risparmiato V., colpendola con un bruttissimo male, di quelli che non perdonano, due anni fa, al polmone.

«Ma lei non si è mai fermata — racconta al telefono il fratello —‘Devo lavorare, non posso assentarmi. Se non vado in ufficio, non mi pagano. E se non mi pagano, chi mi salda le bollette? Mi tolgono la luce e perdo anche la mia casa?, ha continuato a ripetermi». Una storia drammatica, quella di V., che a Rimini ha solo tante amiche che in questi mesi le hanno dato una mano, ma lei non si è mai fermata. Neanche di fronte ad un tumore malvagio che la consumava, nel corpo e nello spirito.

«Devo lavorare, non posso stare in malattia. Non mi pagano», ha ripetuto a tutti fino a quando 15 giorni fa, proprio mentre usciva dal suo posto di lavoro, è caduta a terra. Il suo fisico non reggeva più, la malattia l’aveva ormai divorata.

«Se racconto la storia di mia sorella che sta per morire — spiega Riccardo — è perchè non ci devono più essere episodi come quelli di V.. Mi sembra di stare nel terzo mondo dove non ci si può neanche ammalare e restare a casa. Mia sorella non aveva nulla, se non portava a casa un certo numero di contratti, non veniva pagata. Se si assentava un giorno, non veniva retribuita. Da noi in Belgio la situazione è completamente diversa, i lavoratori, intendo tutti i lavoratori, sono tutelati. V. non lo è stata e fino a quando non è entrata in coma, pensava solo ad uscire dall’ospedale per andare al lavoro: ‘Con la crisi che c’è, non posso perdere questo posto’, ha continuato a ripetermi. Invece ora è lì che aspetta di andarsene. Speriamo solo in un mondo migliore».

Grazia Buscaglia