Omicidio di Stefano Savioli, "Sapeva troppo, l'hanno ucciso"

Nuova pista: "Aveva un dossier che denunciava il traffico di droga"

Stefano Savioli

Stefano Savioli

Riccione, 21 agosto 2014 - «Stefano Savioli era un bersaglio da colpire. E’ stato ucciso semplicemente perché sapeva troppo». Quattro anni. Quattro anni ci sono voluti perché qualcuno rompesse il silenzio sull’omicidio di Stefano Savioli, il riccionese trovato assassinato il 6 agosto del 2010 nella sua tenuta di Cortes Island, piccolo atollo sulla costa occidentale del Canada. Quel qualcuno è Alex G. Tsakumis, blogger ed editorialista di Vancouver, intervistato dal quotidiano in lingua italiana della provincia di Toronto Il Corriere Canadese. Dichiarazioni scottanti, quelle rilasciate da Tsakumis, che fanno bruscamente riaffiorare tutti gli interrogativi attorno alla misteriosa fine di Savioli, erede della celebre famiglia di imprenditori romagnoli. 

«Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Stefano nel 2009 - racconta Tsakumis al direttore del Corriere canadese, Francesco Veronesi, nel numero in edicola oggi - lui e una seconda persona avevano raccolto una lunga documentazione sulla coltivazione di marijuana a Cortes Island. Sull’isola sarebbero presenti piantagioni sterminate, che alimenterebbero i traffici del crimine organizzato. Stefano e un’altra persona avevano messo da parte dei documenti compromettenti e avrebbero dovuto consegnarmeli nell’estate del 2010. Poi le cose sono andate come sappiamo. Stefano è morto, mentre quella seconda persona è letteralmente sparita nel nulla». Che si tratti di fantasia oppure di qualcosa di molto più concreto , quella delineata di Tsakumis è, per il momento, la sola ipotesi sull’omicidio di Savioli. Da quel 6 agosto di quattro anni fa, infatti, la polizia canadese non ha mai fornito uno straccio di spiegazione. Da quattro anni le bocche degli inquirenti restano cucite. 

A oggi non è ancora dato sapere se gli investigatori abbiano individuato o meno dei sospettati, né è mai stata rivelata l’arma del delitto. Un giallo alimentato anche dal silenzio dei parenti italiani di Stefano, il figlio Cristiano e il fratello Maurizio, e della piccola comunità di Cortes Island, dove il riccionese si era ritirato a vivere alla fine degli anni settanta, rompendo definitivamente i ponti con l’Italia. «E’ incredibile - continua Tsakumis - che a quattro di distanza la polizia non abbia ancora in mano nulla di ufficiale. Almeno per conto mio, il caso non è ancora chiuso. La mia attività giornalistica andrà avanti. Alla famiglia di Stefano, che era una persona squisita, voglio dire che non mollerò fino a quando tutta la verità non sarà venuta a galla».