Pantani, i poliziotti di Rimini querelano: “Basta false accuse“

I legali parlano di ‘linciaggio mediatico inaccettabile“. La nuova perizia conferma: ferite compatibili con la caduta

Marco Pantani, “il Pirata” morto il 14 febbraio 2004 (Ansa)

Marco Pantani, “il Pirata” morto il 14 febbraio 2004 (Ansa)

Rimini, 1 dicembre 2014 - Cinque poliziotti che erano in servizio nel 2004 alla Squadra Mobile della Questura di Rimini e che indagarono sulla morte del campione di ciclismo Marco Pantani hanno dato mandato agli avvocati Moreno Maresi e Mattia Lanciani di procedere in giudizio contro tutti coloro che hanno diffuso «notizie gravemente lesive» della loro reputazione.

Sono il vice questore Sabatino Riccio, che allora dirigeva la Squadra Mobile, il commissario capo Giuseppe Lancini, gli ispettori capo Daniele Laghi e Vladimiro Marchini e il sovrintendente capo Walter Procucci.

«Non pare più possibile rimanere silenti - spiegano i due legali - e soprattutto continuare a tollerare un linciaggio mediatico che ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare alimentato da strumentali e apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate dalla diffusione di fatti manifestamente travisati».

Dopo l’avvio da parte della Procura di Rimini di una nuova inchiesta sulla morte di Pantani - spiegano i due legali - «come in una sorta di racconto a puntate, sono state descritte importanti svolte investigative, tutte legate da un unico filo conduttore, che porta da un lato ad affermare come la morte dell’atleta romagnolo non sia avvenuta nei termini accertati nel corso dell’inchiesta già condotta dalla Procura di Rimini, e dall’altro ad accreditare con notevole enfasi la tesi dell’omicidio volontario. In questo contesto sono letteralmente piovute sugli inquirenti della Squadra Mobile di Rimini che all’epoca indagarono sulla morte del celebre ciclista accuse di ogni tipo circa lo svolgimento di molteplici atti di indagine».

«In tutto questo periodo - aggiungono gli avvocati Maresi e Lanciani - gli allora appartenenti alla Squadra Mobile di Rimini (alcuni dei quali non più in servizio), nel pieno rispetto di una indagine ancora in corso, hanno mantenuto il silenzio. Ma di fronte al moltiplicarsi delle accuse, peraltro sempre propalate in toni sensazionalistici, con copertura mediatica che ha sin qui spaziato tra carta stampata, video, radio e web, non pare più possibile rimanere silenti e soprattutto continuare a tollerare un linciaggio mediatico che ha assunto proporzioni inaccettabili e che appare alimentato da strumentali e apodittiche ricostruzioni dei fatti, spesso accompagnate dalla diffusione di fatti manifestamente travisati».

I due legali, infine, evidenziano come «sul piano umano la ‘gogna mediatica’ a cui sono stati sottoposti gli investigatori, abbia ingiustamente provocato loro un profondo stato di amarezza, ampiamente mitigato dalla consapevolezza di aver svolto con senso del dovere, impegno e speditezza i delicati accertamenti di polizia sulla morte di Marco Pantani».

«Il Pirata», come era soprannominato Pantani, fu trovato morto in un residence di Rimini la sera del 14 febbraio 2004: il decesso fu attribuito ad arresto cardiaco dovuto a uso eccessivo di sostanze stupefacenti.

La scorsa estate, su istanza della famiglia, la Procura di Rimini ha avviato una nuova inchiesta sulla morte di Pantani - al momento senza indagati - ipotizzando il reato di omicidio volontario.

 

La nuova perizia conferma: ferite compatibili con la caduta

Le ferite sul corpo di Marco Pantani risulterebbero compatibili con una caduta. L'elemento filtra dall'accertamento medico-legale disposto dalla Procura di Rimini per far luce, a 10 anni di distanza, sulle cause della morte del campione di ciclismo. Il documento depositato da Franco Tagliaro, incaricato dopo che il caso è stato riaperto sulla base di un esposto della famiglia di Pantani, confermerebbe quindi la ricostruzione del medico che fece l'autopsia nel 2004. La Procura valuterà a breve se ripetere anche gli esami tossicologici, come previsto dall'incarico.