"A 62 anni faccio ballare i ragazzi di tutto il mondo"

Il deejay Daniele Baldelli: "Dalla Baia ai locali di Tokyo e New York"

Daniele Baldelli alla consolle

Daniele Baldelli alla consolle

Rimini, 2 febbraio 2015 - «Era il ’69 e io suonavo alla Tana di Cattolica, che era un locale da 400/500 persone. Allora la parola deejay era sconosciuta. Per tutti io ero semplicemente quello ‘che metteva su i dischi’. Non esistevano mixer, cuffia e preascolto. Il mio lavoro consisteva nel mettere in fila i 45 giri».

Quarantasei anni dopo la professione di Daniele Baldelli è ancora la stessa: mettere su i dischi. La location però è cambiata. Non più quella discoteca in un sottoscala di Cattolica, ma i grandi palchi internazionali: dall’Opera House di Sidney al Mo.Ma PS1 di New York, dal Plastic People di Londra al Wired Next Festival di Milano (dove ha avuto l’onore di aprire il concerto di Giorgio Moroder). Il suo sound ha varcato perfino i confini del Giappone, dove Baldelli è già stato protagonista di tre tour (l’ultimo appena due settimane fa).

A 62 anni il deejay cattolichino – icona della Baia degli Angeli e del Cosmic di Lazise sul Garda – spopola sulle piste da ballo di mezzo mondo e si gode la sua seconda giovinezza musicale.

Baldelli, rispetto a quando lei ha cominciato, oggi per i deejay è tutta un’altra musica, non è vero?

«Ho avuto il mio primo contratto alla Tana nel ’69. In quegli anni le discoteche spuntavano come funghi: solo a Cattolica credo ne avessero aperte una decina. La professione del deejay era ancora molto rudimentale e tutta da inventare. Apparecchiature come il mixer sarebbero arrivate in seguito: allora dovevamo accontentarci di due giradischi e delle manopole per alzare o abbassare il volume. Sì, le cose sono molto cambiate…».

La consacrazione per lei è arrivata con il passaggio alla Baia degli Angeli.

«Ci sono rimasto fino al ’78, facendo coppia fissa con dj Mozart. Quelli erano gli anni travolgenti della disco music. La Baia è stato un locale che ha rotto gli schemi, uno dei primi a rimanere aperto fino all’alba. Era un luogo di tendenza, che richiamava gente da tutta Italia e in cui si potevano incontrare anche i grandi vip».

La sua carriera è proseguita al Cosmic, una discoteca sulle rive del lago di Garda.

«Lì ho intrapreso una fase di sperimentazione musicale, arrivando a mettere a punto quello stile ibrido che mi ha poi reso famoso. Ricondurlo a un genere preciso sarebbe riduttivo: diciamo che quel tipo di musica nasceva dalla contaminazione di varie correnti, dal funky all’elettronica, dal reggae al jazz. In campo musicale mi sono sempre discostato dalle etichette che mi venivano affibbiate e mi sono sempre considerato un’artista eclettico che si esibisce secondo la sua personale filosofia, senza farsi influenzare dalle mode».

Com’è che tutto a un tratto all’estero si sono accorti di lei?

«L’avventura al Cosmic è finita nell’84, ma in tutti questi anni io non ho mai smesso di fare il dj. Nel 2004 sono incominciate ad arrivare le prime offerte dall’estero: merito di internet, che ha permesso ai producer stranieri di scoprire e apprezzare i miei lavori. Hanno iniziato a cercarmi sempre più spesso».

A quel punto ha iniziato a girare il mondo.

«Ho partecipato a festival importantissimi in Croazia, Inghilterra, Russia, Finlandia, Usa e Australia. Ma continuo anche a fare serate nelle discoteche di tutta Italia, ad esempio il remember della Baia degli Angeli che si tiene a giugno a Gabicce».

E del Giappone, cosa ci dice?

«Sono reduce del mio terzo tour: cinque date durante le quali mi sono esibito anche a Tokyo, Osaka e Sapporo, in locali underground dedicati a un pubblico esperto e selezionato. Strano a dirsi, ma anche in Giappone ho un pubblico di giovani affezzionatissimi che conoscono a memoria ogni traccia dei miei album e mi chiedono autografi».