Giovedì 18 Aprile 2024

Quei doveri di prof e toghe

Andrea Cangini

NON OCCORRE credere in Dio per giudicare pretestuosa l’iniziativa di quegli 11 docenti bolognesi che hanno presentato un ricorso al Tar per impedire che nelle scuole elementari dove insegnano siano impartite le benedizioni pasquali. In orario extrascolastico, pergiunta, e su base rigorosamente volontaria. Non occorre avercela con i magistrati per rabbrividire di fronte alla notizia del signor Beniamino Gioiello Zappia, sbattuto in prigione per tre anni filati con l’accusa di associazione mafiosa prima che si scoprisse che il Beniamino Gioiello Zappia boss della mafia italo-canadese non era lui, ma un altro. Un omonimo. Nel primo caso abbiamo insegnanti militanti, che nella scuola vedono il teatro ideale di battaglie politiche e civili. Nel secondo caso abbiamo magistrati (e inquirenti) passacarte, che privano della libertà un comune cittadino senza preoccuparsi di trovare almeno una ipotetica prova della sua, presunta, colpevolezza. Tenere a mente questi due piccoli e tutt’altro che rari casi aiuta a comprendere la necessità di riforme tanto necessarie quanto attuali: la riforma della scuola e la riforma della giustizia.

NON SARÀ facile, per Renzi, far entrare il principio meritocratico nei plessi scolastici: i sindacati si ribellano. Si ribellano perché, come gli 11 insegnanti bolognesi, sono pervasi da uno spirito ideologico che mal si concilia con la funzione che svolgono. Ma se ci sono, e naturalmente ci sono, scuole dove i genitori fanno la fila perché vogliono che a coltivare la mente dei propri figli sia questo o quell’insegnante, è giusto che questo o quell’insegnante siano pagati più degli altri. Principio banale, ma, temiamo, irrealizzabile. Salvo improvvise ma non irrealistiche retromarce parlamentari, si sta invece per realizzare qualcosa che si riteneva impraticabile: l’estensione anche ai magistrati del principio in base al quale chi sbaglia paga. Principio sancito da un referendum, radicale e socialista, passato con l’80% dei Sì e poi colpevolmente dimenticato. Era il 1987, e le coscienze degli italiani erano ancora scosse dalla vicenda Tortora. Vicenda nota. 

UN PENTITO di camorra (Giovanni Pandico) sostenne che il famoso presentatore fosse affiliato non a un Rotary qualsiasi, ma alla benemerita organizzazione di Raffele Cutolo, un secondo pentito (Pasquale Barra) distrattamente confermò e il poveruomo finì in galera. Una vita distrutta. Radiosa fu invece la carriera dei due pm che, senza uno straccio di prova, sostennero l’accusa: uno fu eletto membro del Consiglio superiore della magistratura, l’altro divenne procuratore generale. Ecco, nessuno intende prendersela con intere categorie professionali. Crediamo però che l’Italia sarebbe un Paese migliore se gli insegnanti si limitassero ad insegnare, i magistrati a giudicare e sia gli uni sia gli altri lo facessero col massimo scrupolo di cui sono capaci. Responsabilità è la parola che lega i due temi e che dovrebbe inchiodare ciascuno al proprio ruolo. Soprattutto quando il ruolo è “pubblico”. Responsabilità individuale, concetto estraneo alla cultura del Belpaese.