Attentato No Tav alla cava, presi quattro ecoterroristi

I ragazzi sono accusati dell’assalto incendiario all’Emir nel gennaio 2014

NOTTE ESPLOSIVA I mezzi bruciati  la notte del 16 gennaio del 2014 alla cava dell’Emir  a Villa Verucchio

NOTTE ESPLOSIVA I mezzi bruciati la notte del 16 gennaio del 2014 alla cava dell’Emir a Villa Verucchio

Rimini, 14 marzo 2016 - Era notte fonda, quando i carabinieri del Ros di Roma hanno bussato alle porte di quattro giovani riminesi, con l’accusa di essere ecoterroristi. Gli inquirenti sospettano che siano gli autori del devastante attentato incendiario, avvenuto la notte del 16 gennaio del 2014 alla cava della ditta Emir Spa, sulla Marecchiese, dove alcuni camion finirono in cenere.

Un gesto che, lasciarono scritto, voleva essere di solidarietà ai compagni No Tav arrestati a Torino. I ragazzi, difesi dagli avvocato Marco Ditroia e Piero Venturi, sono tutti di buona famiglia, non hanno precedenti ma sono conosciuti dalla Digos come molto vicini alla sinistra antagonista. Tutti negano però di avere mai messo piede in quella cava.

Nonostante i danni ingentissimi, il disastro completo che era stato pianificato dagli attentatori non c’era stato.

Quella notte, poco dopo le quattro, davanti alla cava di Villa Verucchio una pattuglia di carabinieri di Novafeltria era passata per puro caso. I militari avevano visto le fiamme divampare altissime da alcuni camion che erano parcheggiati nel piazzale e avevano allertato subito i vigili del fuoco. Quando i pompieri erano arrivati sul posto, due grossi mezzi stavano già bruciando come torce, mentre altri stavano rischiando di fare la stessa fine.

Una volta spente le fiamme, i vigili avevano avuto la conferma che quelle fiamme non erano state accidentali. Accanto ai camion bruciati erano state trovate le bottiglie con tracce di liquido infiammabile, mentre altre taniche e inneschi erano stati posizionati vicino ad altri mezzi. L’intenzione degli attentatori era infatti quello di fare tabula rasa, e se il piano fosse andato in porto completamente, avrebbero messo l’azienda in ginocchio.

Il movente dell’attentato, era stato inciso dagli incendiari sulla parete di un gabbiotto di cemento: «Cmc ecoterrorista! Solidarietà a Nico, Claudio, Chiara e Mattia e alla lotta No Tav». La Cmc era una delle principali ditte costruttrici in Val di Susa della Tav. E la Emir in passato era stata affiliata alla Cmc, ma da oltre due anni era consociata a un’altra ditta della zona. Cosa evidentemente che gli attentatori non sapevano. I nomi invece erano quelli di quattro militanti No Tav che un mese prima erano stati arrestati dalla Digos di Torino e Milano.

Le indagini erano state febbrili, e non erano rimaste circoscritte al Riminese. Non se n’era più saputo nulla, fino a una decina di giorni fa. Quando i militari del Ros sono andati a casa dei quattro riminesi, tra i 22 e i 24 anni, e hanno perquisito i loro appartamenti, senza trovare nulla.

Secondo l’accusa, qualche giorno prima dell’attentato, i telefonini dei ragazzi hanno agganciato la cella dell’area dell’attentato. Un sopralluogo, sono convinti gli investigatori, che li hanno indagati per concorso moale in atti di terrorismo ecologico, per avere coordinato, organizzato e forse partecipato a un attentato di stampo terroristico. Reato che prevede una pena molto alta.

Ma i riminesi negano. Anche se i loro nomi sono già conosciuti dalla Digos come molto vicini alla sinistra antagonista (hanno partecipato a manifestioni e cortei, l’ultimo per Casa Madiba), dicono, non sono dei No Tav, e quella notte erano tutti in un locale a festeggiare il compleanno di uno di loro. Una discoteca che, sostengono, si trovava poco lontano dalla cava.