{{IMG_SX}}Rovigo, 20 aprile 2009 - Goran e Patrizia fra undici giorni potranno scegliere la data in cui sposarsi. Da ieri la pubblicazione del loro matrimonio è affissa nella bacheca del Comune di Taglio di Po. Ma Goran e Patrizia non sono una coppia come tante. Nei loro cognomi c’è un pezzo di storia, quella con la esse maiuscola. Goran Jelisic è stato condannato, nel ’99, dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra nei Balcani; Patrizia Trapella, da oltre un anno, è il suo avvocato difensore.
"Il nostro — racconta l’avvocatessa polesana — è un amore che è nato nel segno della gratuità, dell’offerta e della carità umana. Ci siano conosciuti e amati per quello che siamo. Come persone. Io sposo la persona che ho conosciuto e amo, non un caso giudiziario o una sentenza".


Un amore nato dietro le sbarre e oltre le convenzioni, fra un ex tenente dell’esercito serbo-bosniaco e l’avvocato 'psicoforense', specializzata in casi difficili. Goran Jelisic è stato condannato dall’Aja, per 16 imputazioni fra cui omicidio, violazioni dei trattati e consuetudini di guerra, saccheggi, a 40 anni, poi ridotti a 30, e sta scontando la pena in Italia. Ma l’avvocato Trapella ha chiesto la revisione della sentenza, convinta della sua totale innocanza.


"E’ stata una sentenza politica. Goran era un ufficiale, un giovane tenente; ha speso la sua vita per una bandiera. Ora paga quella fedeltà al suo stato".
Per impostare il caso e la difesa del suo cliente l’avvocato Trapella è stata per ore, per giorni a colloquio con Jelisic. Hanno sfogliato i faldoni della sentenza del Tribunale internazionale, tradotto insieme centinaia di pagine e documenti. E fra le luci al neon e il parlatorio del carcere, dove la vita di fuori è solo un lontano rumore di fondo, è accaduto qualcosa di inatteso.


"Ci siamo guardati e amati per quello che eravamo, nel profondo dell’animo. Auguro a qualunque essere umano di conoscersi e incontrarsi così. Di trovare, nel dolore di un luogo come il carcere, l’essenza dell’essere umani, dell’avere valori profondi da scambiare. Anche nella fede che per entrambi è un elemento vitale e d’appartenenza".


Si sposeranno fra meno di un mese, Goran e Patrizia, per ora con un rito civile. Poi, se e quando potranno, in una chiesa ortodossa di Trieste, città italiana ma così prossima ai Balcani da essere una patria per entrambi gli sposi.
"La parola detenuto fa paura. Dimentichiamo — conclude Patrizia Trapella — che, coloro che sono in carcere, sono persone con una dignità, una speranza, un cuore".