Rovigo, 22 giugno 2011 - Ci vuole del fegato per fare certi mestieri. Ma non per questo bisogna essere maschi per fare i vigili del fuoco. Ci sono anche le donne. E a Rovigo ce ne sono almeno una decina. Fanno parte delle «discontinue», che vorrebbe dire le volontarie, ma pagate. Però hanno gli stessi compiti dei pompieri assunti a tempo indeterminato. Sono utilissimi, perchè sopperiscono alla mancanza di personale e fanno le sostituzioni per le ferie estive. A guardare i numeri, a Rovigo sono gli stessi di quelli in pianta organica: 120 circa.

La differenza è che al massimo possono lavorare 160 giorni in un anno. E quel che più conta hanno un futuro incerto e un presente che deve fare i conti con la precarietà. Lisa Pavan è una di queste. E’ rodigina, ha 34 anni e dopo un diploma di ragioneria ha fatto diversi mestieri, lavorando in alberghi, in una panetteria, in uno studio di ingegneri. Ora fa la commessa, ma il suo grande sogno è entrare nei vigili del fuoco. Per adesso l’ha fatto in punta di piedi, essendo da sette anni una «discontinua», però vorrebbe starci in pianta stabile ed essere assunta a tutti gli effetti.

Come è nata la passione per i vigili del fuoco?
«Facevo la volontaria per la protezione civile, fare qualcosa per gli altri mi ha sempre appagato. Quando un giorno, nel corso di un’esercitazione, mi è stato suggerito che le donne potevano entrare nella caserma dei pompieri. Sono andata al corso per volontari e l’ho superato».

Quali sensazioni si provano a lavorare in un ambiente in prevalenza maschile?
«All’inizio la mia paura era di non essere come un uomo. Mi spiego meglio. Temevo che mi considerassero una zavorra, che mi dicessero “lascia stare quella cosa, la facciamo noi”. Ecco questo mi urtava parecchio».

E poi come è cambiato l’atteggiamento?
«Quando hanno capito che ero una di loro. Sono una persona che si allena anche tre volte al giorno per sopportare carichi di peso non indifferenti».

Come è lavorare sempre in situazioni d’emergenza?
«Sei una macchina, hai una forte adrenalina addosso che ti permette di muoverti senza farti coinvolgere troppo dalle emozioni».

Qualche ricordo particolare?
«La prima volta che sono intervenuta in un incidente mortale sulla strada. Finito il mio compito, ricordo che sono andata trovare mia madre e l’ho abbracciata. Solo allora ho capito il perchè di tutte le raccomandazioni quando uscivo di casa».

La sensibilità femminile può essere una qualità in più fra i vigili del fuoco?
«A volte capita. E’ successo quando abbiamo soccorso una donna che tentava il suicidio nell’Adige a Badia. L’abbiamo salvata, poi sono salita con lei in ambulanza. La donna non parlava. Aveva un cappellino della Juventus e partendo da quel particolare ho iniziato a dialogare con lei. Quando siamo arrivati all’ospedale voleva che restassi ancora con lei».