Rovigo, 9 settembre 2011 - ERA IL 1905 quando Romualdo Parente, in un piccolo paese della provincia di Foggia, Torremaggiore, trasformava la passione per la polvere da sparo e per quei fiori di luce che colorano il cielo, in un’impresa che avrebbe solcato tutto il secolo per diventare una delle più grandi fabbriche di fuochi artificiali d’Italia. Era il 1905 e un ragazzo — in famiglia erano sei figli maschi e una femmina, una delle tante famiglie numerose del Sud — con le mani sporche di nitrato, zolfo e carbone gettava il seme di un’industria che regala magia in tutta Italia e nei cieli delle maggiori capitali d’Europa, sulle acque del Danubio o sulla piazza di Mosca. Magia a suon di musica. «Mio nonno era figlio di un fabbro — racconta Romualdo Parente, che ora porta il testimone dell’azienda insieme ai figli Claudio, Davide e Antonio — e scoprì di avere questa passione per i botti, tutto è nato da lì».

Romualdo è seduto nel suo ufficio, dietro la scrivania, e mostra le foto del nonno e della nonna Maria, incorniciate e appese al muro. A fianco c’è quella di Antonio, il papà. E’ stato lui a dare la svolta, nel 1950, quando prese armi e bagagli e salì al Nord per fare fortuna. Arrivò a Melara, un paesino lungo l’Eridania, e aprì un piccolo laboratorio. Pochi metri quadrati. Che sono diventati poi tremila. La fabbrica si chiama Parente Fireworks e oggi si estende su un’area di centomila metri quadrati, costellata di casermette dove si conserva la polvere e di casupole dove avvengono tutte le lavorazioni, che trasformano quella polvere scura in un luccichio che incanta da sempre la gente. «Portiamo i nostri fuochi e i nostri spettacoli in tutto il mondo», riprende. Perché adesso quell’arte non finisce in un boato nel cielo. Ma è un vero e proprio spettacolo. I fuochi scoppiano a suon di musica, sul filo delle note con un tempismo perfetto.

I TEMPI li tiene il creativo della famiglia, Antonio. Che crea emozioni sincronizzate di bagliori e note. Se ne sta giorni, mesi a studiare su fogli e grafici per creare un gioco perfetto. «C’è stata la crisi — riprende Romualdo —, crisi che ha toccato molto il settore. Abbiamo avuto cali di commesse da Francia, Spagna e Germania. Ma abbiamo tenuto duro e adesso abbiamo intenzione di ampliarci. I cinesi vendono i fuochi che si usano per l’ultimo dell’anno, i tradizionali botti, a prezzi che per noi sono inaffrontabili. Ma anche loro dovranno confrontarsi con i costi della manodopera un giorno e noi saremo lì ad aspettare».

E il tempo è tutto dalla loro. Quei tre giovani, Claudio, Davide e Antonio, non sono infatti l’ultima generazione. Ci sono già i nipoti. Elisa, 19 anni, che sta facendo l’università. E Andrea, 15 anni, che già segue il lavoro del padre, affascinato da quell’arte antica, fare danzare i fuochi a ritmo di musica. Nella fabbrica lavorano una quarantina di persone, che diventano sessanta nei momenti di piena produzione. In quei laboratori ci sono ragazze che vengono dal Marocco, dal Venezuela, da tutto il mondo. «Le idee vengono facendo — riprende Romulando —, non stando fermi, con le mani in mano. La polvere da sparo? Io ho cominciato a maneggiarla a cinque anni, ma sa che ce l’ho nel Dna», dice Romualdo con un sorriso.