Rovigo, 4 maggio 2012 - «PRODURRE cannabis per i farmaci del mercato italiano salverebbe il Cra». A dirlo è Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del centro di ricerche in agricoltura di via Amendola a Rovigo che rischia la chiusura. Grassi da anni sta cercando in tutti i modi di spiegare quali sarebbero i vantaggi economici per il territorio di un ritorno alla coltivazione della canapa in Polesine. La Toscana ha dato il via libera con una legge regionale all’utilizzo dei farmaci a base di cannabinoidi per la terapia del dolore e per altre cure.
 

Grassi, cosa cambia dopo l’ok della Toscana alla cannabis?
«Ora le Ulss della Toscana saranno costrette, attraverso le farmacie ospedaliere, a rendere disponibili farmaci a base di cannabis medicinale. È una autentica rivoluzione perché oggi, un medico che vuole curare un paziente con quei farmaci costringe lui e i suoi famigliari a procedure molto lunghe, complicate e dispendiose per accedere alle medicine. È necessario ottenere l’autorizzazione da parte del Ministero della salute, cosa che richiede generalmente qualche mese, pagare in anticipo i farmaci e farli arrivare di solito dall’Olanda. Un iter che richiede sui quattro mesi».
Per che malattie si può usare la cannabis?
«Soprattutto per alleviare il dolore nei malati terminali. Ci sono persone, familiari di malati terminali, che mi chiamano tutti i giorni e si domandano il perché di tutta questa difficoltà a liberalizzare questi farmaci che migliorerebbero la vita negli ultimi anni di persone malate che non possono essere curate e chi così vivono soffrendo fino alla fine».
I farmaci che si venderanno in Toscana sono prodotti in Italia?
«Attualmente no, verranno importati, ma potrebbero esserlo. E ci sarebbe un risparmio enorme nei costi. Attualmente un malato terminale che si cura con farmaci di questo tipo costa 500 euro al mese».
Di quanto potrebbero essere ridotti i costi producendo tutto in Italia?
«Di due terzi. Ma è la burocrazia che deve snellirsi, sono le autorizzazioni che dovrebbero essere molto più facili e veloci».
In Polesine gli agricoltori potrebbero iniziare a coltivare canapa?
«No, non dei semplici agricoltori. Potrebbero farlo dei privati ma parliamo di aziende con autorizzazioni molti più simili a quelle di aziende farmaceutiche piuttosto che agricole».
E il Cra?
«Noi possiamo già. Siamo autorizzati alla coltivazione della canapa per fini di ricerca e per la cannabis ad uso terapeutico. Il nostro è l’unico centro d’Italia già operativo».
L’anno scorso invece scrivevamo che il Cra rischia di chiudere, c’è ancora questa possibilità?
«Sì, si parla in continuazione di riorganizzazioni e noi potremmo essere sacrificati. Qui ci lavorano 7 persone e coltivare coltivare la canapa per uso farmaceutico ci permetterebbe sicuramente di autofinanziare l’ente».
Che estensione servirebbe per il fabbisogno italiano di farmaci per la terapia del dolore derivati dalla canapa?
«Non molto, pochi ettari, noi riusciremmo a soddisfare l’intera domanda».
Il Veneto dovrebbe seguire la Toscana?
«Io mi auguro di sì. L’università di Padova ha finanziato un progetto con 100 mila euro per lo studio dei cannabinoidi ad uso terapeutico ma la sua Ulss ha le mani legate perché qui la legge non consente l’utilizzo dei farmaci».
E i farmaci chi potrebbe produrli?
«Lo stabilimento chimico farmaceutico di Firenze, un’agenzia dell’industria militare. Noi potremmo vendere la materia prima a loro. Ma anche i privati. La Fidia di Abano è già autorizzata a gestire sostanze stupefacenti».

Tommaso Moretto