Rovigo, 20 marzo 2013 - «Anche il Veneto non è immune alle infilatrazioni mafiose. Ci sono già stati diversi casi che lo dimostrano. Ma mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata». Cita Tito Livio il giudice del Tribunale di Rovigo Carlo Negri, consulente della Commissione parlamentare antimafia dell’ultima legislatura. «Si aspetta che il fenomeno esploda in maniera eclatante anziché fare prevenzione», incalza Negri, da sempre in aperto contrasto con l’«atteggiamento negazionista piuttosto radicato anche a Rovigo. Mi viene in mente il periodo in cui si parlava di investimenti della famiglia Brusca in Polesine. Rovigo è un pezzo d’Italia e bisogna mettersi nell’ottica che, se un ‘investimento’ conviene, ci si mette un secondo a trasferirsi in Polesine».
 

Giudice Negri, quali prove ci sono della presenza di infiltrazioni mafiose nel territorio?
«Il Veneto non è nuovo a ‘ospitare’ latitanti, è un territorio che si presta a confondersi tra i tanti senza che nessuno se ne accorga. basti pensare alla cattura di Madonia a Vicenza o l’inchiesta Aspide della procura di Padova (su una presunta banda di estorsori legata al clan dei Casalesi, ndr)».
E in Polesine?
«Per quella che è la mia esperienza, la criminalità organizzata ha radici culturali profonde. La provincia di Rovigo non è terra che dà impulso a organizzazioni del genere, ma le può ‘importare’. Subisce un fenomeno parassitario».
In che senso?
«L’usuraio si ferma alla riscossione degli interessi della propria attività, la criminalità organizzata invece entra lentamente nel tessuto economico. Acquisisce aziende, ha il monopolio dei prezzi grazie a una disponibilità di liquidità incredibile e fornisce manodopera sottocosto. A questo si aggiunge l’uso dell’intimidazione e della violenza. E in questo monopolio d’azione può arrivare a esprimere rappresentanti politici nelle ammnistrazioni che controllano gli appalti».
Ha seguito inchieste a Rovigo che presentano questo disegno?
«No, ma è vero che se da un lato la criminalità organizzata non è nella cultura del Polesine, i cittadini del nord sono anche quelli che, per paura, difficilmeente denunciano casi di estorsione».
Ci sono settori che rischiano più di altri?
«L’edilizia e il caporalato in campagna sono realtà che si possono prestare a un territorio come Rovigo. Faccio fatica a pensare che Rovigo sia immune rispetto alle altre zone d’Italia, mentre non credo che siano stati fatti grandi investimenti immobiliari. Non è un territorio che si presta, ad esempio, all’acquisto di complessi alberghieri».
In Procura avete mai avviato attività specifiche?
«Purtroppo si fa fatica a causa dell’organico. Dietro all’incendio di un capannone o alla compravendita anomala di mezzi potrebbero celarsi attività legate alla criminalità organizzata, ma andrebbero fatte analisi più approfondite che, in queste condizioni non possiamo fare».
Cosa invece potrebbero fare le istituzioni o altri soggetti?
«Le pubbliche amministrazioni dovrebbero pagare i propri debiti con i fornitori, ma i direttori di banca dovrebbero anche segnalare alla Prefettura i casi in cui vengono sospesi crediti o dove risultano problemi nella gestione dei bilanci. Questo aiuterebbe a intervenire tempestivamente sulle aziende che affrontano momenti di difficoltà, prima che ricorrano ad altri canali di accesso al credito».
La certificazione antimafia è uno strumento efficace?
«Se non gestito bene rischia di fermare l’imprenditore onesto, ma non il mafioso».

Cristina Degliesposti