Rovigo, 21 novembre 2013 - PER tre mesi non aveva pagato lo stipendio a una dipendente a casa in maternità. E per questo era finito indagato per truffa aggravata, visto che nei moduli aveva dichiarato invece l’avvenuto versamento. Ma alla fine è stato prosciolto da tutte le accuse: quell’imprenditore non ha pagato perché non poteva pagare. «La crisi, le strette al credito e una serie di sanzioni accumulate perché un cambio di normativa aveva costretto a modificare largamente la sua attività lo hanno portato a non avere più la disponibilità monetaria che avrebbe dovuto avere — spiega il suo legale difensore Sofia Tiengo —. Così ha pagato la dipendente con qualche mese di ritardo, ma questo non è bastato a finire nelle maglie dei controlli dell’Inps».

Questa è la storia di un imprenditore di 46 anni che, in città, gestice un’autoscuola dal 2010. Nel 2011, però, non versa l’indennità di maternità a una dipendente part-time dell’impresa. Tre mensilità in tutto (aprile, maggio e giugno) che ammontano a un totale di 1.800 euro. Una somma non ingente ma che lo ha portato a finire indagato per truffa aggravata e rischiare una pena carceraria fino a cinque anni. «Il problema è che il mio cliente aveva dichiarato di aver versato quelle somme — spiega Tiengo —. Il 30 novembre del 2011 l’imprenditore ha poi versato tutto il dovuto alla dipendente che, conoscendo la situazione della società, non aveva mai agito nei suoi confronti».

A mettere in moto l’accertamento, invece, è stata la stessa Inps, quando ormai l’imprenditore aveva saldato il debito con la lavorante. La settimana scorsa, davanti al giudice per l’udienza preliminare Pietro Mondaini, si è tenuta l’udienza che avrebbe deciso dell’eventuale rinvio a giudizio dell’imprenditore. «Si tratta di casi in cui di solito si patteggia — spiega il legale —, ma rimane nel casellario giudiziario e la condizione diventa ostativa all’assunzione in eventuali altre attività. E il mio cliente era convinto di essere vittima di una vessazione pecuniaria in quel momento della sua attività».
 

DUE fidi gli erano stati estinti, un finanziamento con un altro istituto di credito gli era stato chiuso e aveva accumulato sanzioni per il mancato adeguamento alla modificata normativa in materia di autoscuole. «Non faceva il ‘furbo’, era realmente disperato — spiega l’avvocato —, tanto che appena ha potuto ha saldato il debito con la dipendente. Non c’era artifizio e raggiro nella sua condotta, quindi la truffa è venuta a cadere. Al massimo, poteva rimanere l’appropriazione indebita, ma il mio cliente aveva estinto il suo debito con la dipendente prima dell’indagine e mancava l’eventuale querela della donna». Da qui, il proscioglimento.
 

Cristina Degliesposti