Rovigo, 6 aprile 2014 - Un'inchiesta che si infittisce di ulteriori dettagli, quella che riguarda gli indipendentisti veneti del gruppo de ‘L’Alleanza’. Soprattutto per quanto riguarda i tre polesani arrestati lo scorso martedì, e in particolar modo per Marco Ferro, il 48enne residente ad Arquà Polesine, ma con un passato a Lendinara, interrogato proprio venerdì nel carcere di Rovigo.

Dalle ultime indiscrezioni, infatti, pare che un amico di vecchia data di Ferro, spaventato per gli arresti degli ultimi giorni, abbia consegnato ai carabinieri di Lendinara una scatola, sigillata da un lucchetto, che gli avrebbe consegnato Ferro qualche settimana prima dell’arresto, rifiutando qualsiasi responsabilità in merito. La scatola sarebbe una sorta di kit di sopravvivenza, che pare dovesse essere utilizzata nel caso di un periodo di ‘resistenza’, probabilmente dopo l’avvenuta ‘presa di Venezia’, nell’attesa di essere riconosciuti indipendenti.

Secondo le prime indiscrezioni, la scatola - aperta dai militari dell’Arma - conterrebbe cerotti, disinfettante, fasce, scorte di cibo e di acqua. Un vero e proprio kit di sopravvivenza in situazioni di isolamento e - vista la presenza di cerotti e bende - anche combattimento. Un box che, verosimilmente, si poteva utilizzare dopo essersi barricati, prevedendo ferite e lunghe attese. Dagli atti dell’inchiesta, infatti, gli indipendentisti avrebbero dovuto ‘invadere’ il capoluogo veneto, grazie all’utilizzo del Tanko, aiutati da una ribellione popolare, e aspettare lì il riconoscimento formare della Repubblica Veneta. Perché Ferro l’avrebbe regalato all’amico?

Un elemento che arricchirà il fascicolo in mano alla procura di Brescia, che si va a sommare al lungo interrogatorio che si è svolto venerdì mattina a Rovigo, a opera del gip Pietro Mondaini, di Marco Ferro. L’uomo, infatti, ha scelto di parlare allontanando però qualsiasi ipotesi di guerra o utilizzo d’armi per la manifestazione programmata. Secondo il suo avvocato difensore, Umberto Perilli, Ferro ha ammesso di lavorare alla costruzione del ‘carro armato’ chiamato ‘tanko’, all’interno dell’arsenale di Casale di Scodosia (Pd), ma ingenuamente. L’uomo, infatti, ha sostenuto di aver sempre creduto che si dovesse utilizzare come carro ‘simbolico’ in una manifestazione allegorica e folkloristica, non certo violenta.

Caterina Zanirato