Viaggio inchiesta a Ficarolo: "Ma non siamo il paese degli orrori"

Prima il terremoto e le polemiche sulla Tares, poi le morti sospette agli Istituti Polesani e i presunti maltrattamenti ai bambini dell'asilo: "Ma non siamo il paese dei matti" si difendono i cittadini (VIDEO)

I maltrattamenti nella clinica lager

I maltrattamenti nella clinica lager

Ficarolo (Rovigo), 15 febbraio 2015  - Ma tutto qua, capita? Tutto a Ficarolo? Prima le violenze e le morti sospette agli Istituti Polesani, grande clinica psichiatrica, quasi la Fiat del paese, 200 dipendenti. Poi tre maestre del nido denunciate per maltrattamenti ai bimbi (VIDEO).

«È una domanda che mi sono fatto anch’io. Mi auguro sia solo una brutta coincidenza». Che altro potrebbe dire Iles Braghetto, ex assessore regionale del Veneto, ex insegnante di religione a Padova, da dicembre direttore generale di questa grande struttura che deve cambiare pelle, dopo lo scandalo. Arresti e licenziamenti. Poi avvisi di garanzia. Botte ai malati e milioni. Per la precisione: 1 milione e 800mila euro di danno erariale per contributi non dovuti ma versati lo stesso dalla Regione Veneto agli Istituti. Ciliegina sulla torta dopo il film delle violenze sui pazienti. Una giovane donna è ferma sulla porta della clinica in visita al fratello, accompagnata da un amico. «No, per fortuna lui non era nel reparto degli orrori. Ma abbiamo letto anche noi. E ora il nido... Ho pensato, ma qui c’è una maledizione». L’uomo filosofeggia: «Le foglie non si muovono se non c’è vento...».

Pareva già tanto, non era ancora tutto. Mancavano le maestre, filmate anche loro. «Chi, la Maria, le altre? Ma non è possibile!». Incredulità, sorrisi imbarazzati, rabbia, esasperazione, fuga dai giornalisti e dalle domande. E a Ficarolo che si gira in pochi minuti, 2600 abitanti e tutti amici, nei bar non si parla d’altro, per strada uno su due svicola volentieri, «non so niente-ho fretta-devo andare a lavorare-i giornali fanno i processi prima del tempo». «E basta con questa storia, non se ne può più», è esasperata una signora che esce dal bar della piazza. «Volevo mettere un cartello, il paese degli orrori», provoca.

Chi proprio non può evitare, risponde. Il sindaco civico Fabiano Pigaiani, geometra con l’ufficio a due passi dal Comune, è provato. Elenca: «Prima la piazza sottosopra. Dopo, il terremoto, siamo stati il comune più colpito della provincia. Poi la Tares, che pareva la più alta d’Italia. Ora gli Istituti Polesani e l’asilo». Può solo andare meglio.

Ficarolo o Figarol, in dialetto ferrarese. Perché qui siamo all’incrocio fra tre regioni, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia. Monumenti importanti, palazzi e chiese che ti vengono incontro come un regalo inaspettato nella desolazione della campagna, la prima cosa che vedi è il campanile pendente, «il nostro vanto», ripetono tutti, lo hanno chiamato «la torre di Pisa del Veneto». Qui ne hanno passate tante, lo zuccherificio che ha chiuso negli anni Ottanta, oggi reperto di archeologia industriale. Poi la rotta del Po, nel '51, «quando eravamo in 5.500 ma poi tanti andarono via, non c’era lavoro, si faceva la fame».

Lo raccontano Arturo Mazzali, pensionato, e Gabriele Balbo, segretario dell’associazione volontari di Ficarolo. «Non siamo il paese dei matti», si arrabbia in dialetto un settantenne in divisa, «lo vede che sono ancora qui a fare e brigare. Qualcosa vorrà pur dire, no? Il nido? È qua dietro». Eccolo. «Chiudere sempre il cancello», si raccomanda un avviso. Chi risponde al campanello dice che nessuno può o vuole rilasciare interviste. Una maestra della materna: «Noi non c’entriamo». Un babbo arriva a prendere il figlioletto, tranquillo: «Qui ho portato anche l’altro figlio. Mai avuto sospetti. Aspettiamo di vedere questi video». E se le mettessero da altre parti, le telecamere, «chissà cosa verrebbe fuori, siamo presi di mira», è certa la barista del corso. Una nonna tiene per mano il nipotino. Un conoscente scherza con il bimbo: «Dai, che vai al nido». Lei, un po’ ridendo un po’ no: «Eh, adesso come adesso qualche preoccupazione ce l’avrei!».