Riparte il processo Burci: chiesti due rinvii a giudizio

Gli accusati rimangono Benazzo e Pitroescu. La Cassazione ha annullato i due ergastoli disposti prima dalla Corte d’Assise di Ferrara e poi dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna

Gianina Pitroescu, 39 anni

Gianina Pitroescu, 39 anni

Rovigo, 12 marzo 2015 - Il processo per l’omicidio di Paula Burci è pronto a ripartire. Dopo che la corte di Cassazione ha annullato i due ergastoli disposti prima dalla Corte d’Assise di Ferrara e poi dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna a carico di Sergio Benazzo, 39 anni, idraulico di Villadose, e di Gianina Pitroescu, 39 anni, il fascicolo per l’omicidio della giovane prostituta era stato trasferito per competenza a Rovigo.

Da dove dovrà ripartire da zero, in tempi rapidi visto che i due ‘ex’ condannati si trovano ora a piede libero (la Pitroescu sarebbe addirittura rinchiusa in un convento di clausura dopo aver ritrovato la Fede). E ripartirà a breve: il sostituto procuratore Davide Nalin, a cui è stato affidato il caso, ha chiuso tutte le procedure del caso e ha chiesto la fissazione dell’udienza preliminare in cui sarà chiesto per entrambi il rinvio a giudizio, che sarà deciso dal giudice Pietro Mondaini. Le imputazioni non cambieranno: secondo la Cassazione, infatti, il caso regredisce fino alla fase successiva della chiusura delle indagini.

La vicenda è iniziata il 24 marzo del 2008, quando venne scoperto un cadavere semicarbonizzato e irriconoscibile sull’argine del Po a Zocca, nel Ferrarese. Fu difficile identificare la vittima. Ci si riuscì solo grazie a un’unghia, che si salvò dal rogo grazie allo smalto. Alla fine risultò trattarsi di Paula Burci, 19 anni, romena.

Una vittima della tratta della prostituzione: si prostituiva in strada a Ferrara, vicino alla facoltà di Ingegneria. Ma dormiva in Polesine, a Villadose, ospite dall’unica persona che conosceva: Gianina Pitroescu. La giovane, secondo la ricostruzione accusatoria, avrebbe pagato con la vita il tentativo di uscire da quel giro. Fu picchiata a sangue, massacrata da Benazzo (un idraulico di 38 anni di Villadose), che si prendeva il disturbo di accompagnarla ogni sera sul luogo di lavoro incassando 180 euro al mese di affitto e 20 euro per ogni tragitto e la Pitroescu.

La Burci, infatti, dopo aver detto di essersi innamorata di un cliente e di volersi sposare venne affidata dai due a un gruppo di albanesi. Poco si sa di cosa successe in quel momento, ma di sicuro cose non piacevoli. Tanto che la Burci ritornò a Villadose dai due aguzzini chiedendo loro di riprenderla con sè. Cosa, che però, non avvenne. Anzi, sempre secondo l’accusa, la giovane venne massacrata di botte. «Sergio usò un martello. E poi c’erano altre due o tre persone, loro amici». Lo scempio continuò con calci e pugni, poi con un forcone che colpì lo sterno, con tale violenza da incrinare le ossa. Le ruppero i denti a martellate. La portarono «al margine di un bosco», «respirava ancora» e la bruciarono. Il corpo fu trasportato sulle sponde ferraresi e dato alle fiamme, per cancellare ogni traccia.

Un omicidio attribuito dall’accusa non solo a Benazzo e alla Pistroescu, ma anche ad altre persone allo stato non identificate. Determinante fu la testimonianza di Jana Serbanoiu, ex compagna di cella della Pitroescu in Romania. Ma l’impostazione della Procura di Ferrara non ha retto in Cassazione. I giudici di Roma hanno accolto la tesi portata avanti dalle difese di Benazzo e Pistroescu, gli avvocati Francesca Martinolli di Adria e Rocco Marsiglia di Roma, che collocava la morte delle giovane in Polesine e non a Ferrara, dato che è stata massacrata di botte a Villadose. E quindi il tribunale di Ferrara come incompetente. La Cassazione ha quindi annullato la condanna e disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Rovigo. Da dove ripartiranno, con gli stessi imputati.