Rovigo, 26 febbraio 2012 - A ROVIGO e in Polesine, il nome di quel grande artista che è stato Galileo Chini non è sconosciuto. C’è, infatti, più di una testimonianza dell’opera di questo pittore e ceramista, come è il caso delle straordinarie maioliche per la tomba della famiglia Camerini e delle piastrelle dichiaratamente Déco per uno dei padiglioni del vecchio ospedale di via Badaloni. La cosa curiosa è che le maioliche (crisantemi viola e gialli con rametti ulivo, alloro, quercia e cipresso) che adornano i quattro pennacchi su cui poggia il soffitto della tomba monumentale dei Camerini risalgono alla primavera del 1904 e sono uscite, come ha scoperto Lucio Scardino, dalla manifattura fiorentina “Arte della Ceramica Fontebuoni”. Giusto in quel periodo, Galileo Chini, che ne era il direttore artistico (e sicuramente l’autore dei disegni), stava per lasciare e fondare, ma due anni appresso, la “Fornaci di San Lorenzo”. A quest’ultima è attribuibile la realizzazione delle piastrelle che, con quel fondo giallo chiaro da cui si stacca un fiore rossastro, danno grazia alla pietra a vista del padiglione ispirato all’architettura eclettica. Un padiglione intitolato, appunto, al duca E.F. Camerini e offerto all’ex ospedale rodigino dalle Officine Grafiche del Corriere del Polesine nel 1913 per ospitarvi il reparto di pediatria e malattie infettive.
 

È, dunque, una gradita sorpresa incontrare nella bella mostra dedicata al Divisionismo, promossa dalla Fondazione Cariparo e inaugurata l’altra sera a palazzo Roverella, un suggestivo olio dell’artista fiorentino, realizzato durante il soggiorno siamese per la decorazione del Palazzo del trono a Bangkok e intitolato «L’ora nostalgica sul Me-Nam». Ma basta spostarsi a Fratta Polesine, per ritrovare ampia e pregevole traccia dell’attività di Chini ceramista nella mostra gemella di villa Badoer, che ha aperto i battenti ieri mattina. Mostra gemella, in quanto, come ormai avviene da qualche anno a questa parte, la grande esposizione di palazzo Roverella trova favoloso riscontro in un parallelo percorso nelle arti applicate nel rincorrersi di sale e stanze affrescate della palladiana villa Badoer, tanto più che i curatori sono sempre quelli delle vicende del Divisionismo: Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Annettere Chini ceramista al divisionismo non è certo una novità assoluta, ma è sicuramente un’operazione intelligente e non scontata.

I numerosi pezzi esposti (provenienti da coollezioni italiane e straniere e dalla stessa manifattura Chini) , vasi e piatti e coppe, attraversano circa un venticinquennio dell’attività dell’artista, dall’alba del Novecento a metà degli anni Venti, documentando sia i lavori usciti dalla manifattura “Arte della Ceramica Fontebuoni” che dalle “Fornaci di San Lorenzo”. Come dire dall’adesione all’Art Nouveau e ai modelli della Secessione viennese fino a quel più aggiornato gusto modernista (che nulla ripudiava dell’attività precedente) che aveva saputo ritessere nuovi rapporti con l’esotismo e la rilettura di elementi orientali. Ecco, allora, affacciarsi pavoni e salamandre, insieme a putti, ghirlande, motivi floreali e astrali. Non muta ma semplicemente si evolve il cromatismo brillante che accompagnerà l’attività di Chini fino al progressivo abbandono delle ceramiche e delle maioliche.

di Sergio Garbato