Edy: "Addio alla carrozzina. Sono tornato a vivere"

Nel 1995 fu vittima di un terribile incidente stradale. Ecco la sua storia

Edy Zeminiani, 46 anni, con Marzia Malagugini dell’associazione Amici del sorriso (foto Donzelli)

Edy Zeminiani, 46 anni, con Marzia Malagugini dell’associazione Amici del sorriso (foto Donzelli)

Rovigo, 22 marzo 2015 - Ogni persona nella vita prova il dolore dovuto a una malattia o a un’esperienza negativa che lo colpisce e ognuno ha il proprio modo di reagire. La storia di Edy Zeminiani comincia il 20 aprile del 1995 quando a 26 anni finisce con la sua auto sotto un camion all’altezza di Zelo per colpa di un’ape che era entrata dal finestrino e gli aveva fatto perdere il controllo del mezzo.

A quel tempo lui era un giovane rappresentante della una ditta di costruzioni di Badia Polesine, viveva a Sant’Urbano, si era sposato da poco e la moglie era in attesa di un figlio. Insomma una vita davanti ricca di sogni e aspettative, ma sulla quale all’improvviso cala il buio.

Finisce in coma e per due mesi resta all’ospedale di Rovigo, ma la situazione non migliora e i famigliari decidono di trasferirlo al San Giorgio di Ferrara, al centro Ugc per cerebrolesi guidato dal professor Basaglia. Ma quel reparto ha solo 20 posti letto e una lunga lista d’attesa. Il padre di Edy cerca in più occasioni di portare il figlio a Ferrara, ma invano. Gli sforzi sembrano tutti inutili fino a quando un giorno, il padre si ferma per strada vedendo una signora che era rimasta in panne con l’automobile. Le dà un passaggio, comincia a parlare con lei spiegando i problemi del figlio. La misteriosa donna alla fine della discussione invita l’uomo ad andare a parlare con il professor Basaglia, il quale proprio quel giorno lo riceve. Edy viene ricoverato poco dopo.

Una volta risvegliatosi dal coma, si ricorda di aver visto un film di guerra dove il protagonista, per non dormire in trincea ed essere preda del nemico, chiede sempre che ore sono. Anche Edy mentre è in reparto, comincia a chiedere di continuo che ore sono, per stare sveglio, fino a quando non gli comprano un grande orologio a parete e glielo appendono davanti al letto. Sono passati ormai tre mesi dall’incidente quando i medici gli comunicano che al massimo la sua vita la trascorrerà su una carrozzina. Nel tremendo incidente aveva subito un trauma cranico, si era rotto femore, tibia, braccia, lesioni su tutto il corpo. Aveva ferri ovunque, tenditori, non era in grado di camminare.

Comincia un periodo di crisi e di profonda depressione. Capisce che la sua vita non sarà più come prima e vuole farla finita. «Ma è difficile anche uccidersi quando si è in quelle condizioni. Per uno che è finito sotto un camion, per morire non basta buttarsi già dal letto», racconta Edy con un mezzo sorriso. Ci vuole ben altro. Ogni giorno sente il treno che passa lì vicino e decide di buttarsi sotto. Inizia a calcolare gli orari e una mattina prova a uscire per andare verso il passaggio a livello poco distante.

Ma il primo tentativo va a vuoto perché si incastra con la carrozzina nella porta d’ingresso dell’ospedale, solo dopo un quarto d’ora arriva un infermiere per dargli una mano, ma nel frattempo il treno era già passato. L’indomani ci riprova, stavolta riesce a passare l’ostacolo della porta, arriva davanti al passaggio a livello e attende il momento giusto per farla finita. Ma il treno non passa. Nel frattempo un infermiere lo vede e lo riporta in reparto dopo averlo rimproverato. Guardando la tv scopre che quel giorno c’era pure lo sciopero dei ferrovieri e capisce che non era il suo destino.

Da quel momento i medici gli fanno comprendere che lui poteva migliorare con il lavoro e il sacrificio. Facendo fisioterapia e cominciando anche a frequentare la «Città del ragazzo» di Ferrara. «Anche perché quando sei in certe strutture conti qualcosa come disabile – dice Edy –, sei seguito, quando esci invece non sei più nessuno». Vuole a tutti i costi reggersi in piedi, magari con un bastone, per andare a vedere suo figlio che sta per nascere. Così, dopo sforzi faticosissimi riesce a stare sulle sue gambe e il 12 ottobre va a vedere suo figlio che viene alla luce a Badia Polesine.

Al San Giorgio di Ferrara ci resta 8 mesi, poi lo mandano a casa. Ma non riesce a guidare, non è capace di andare in bicicletta, ha le ginocchia bloccate a 30 gradi ed ha poco equilibrio. L’unica cosa che riesce a fare in piedi è la pipì.

Per andare da casa al bar e fare una partita a carte con gli amici ci impiega 50 minuti, arrivando ogni volta sudatissimo e facendo sforzi sovrumani, quasi trascinando le gambe. Nel frattempo la sua vita privata va in frantumi, la moglie lo abbandona e lui è costretto a tornare dai genitori, solo e senza suo figlio.

Anche gli amici non sono più tanti come una volta, anzi, sempre meno. «Spesso il vero ostacolo da superare non sono le barriere architettoniche o i deficit fisici, ma è come vieni visto – racconta Edy – Infatti gli altri ti percepiscono come un peso».

Ma lui non si vuole considerare tale. Inizia a lavorare come centralinista alla discarica di Sant’Urbano e quando è a casa pensa e inizia a progettare un grande centro per disabili. Nel frattempo, lui che mai aveva frequentato la chiesa, si avvicina alla religione cristiana. Un viaggio a Medjuogorje con l’associazione “Amici del sorriso” gli cambia la vita.

Ma è una sera del luglio scorso che si compie quello che sembra proprio un miracolo. A Sant’Apollinare va a seguire un carismatico, Marco Cicoletti. Verso la fine della serata, il predicatore inizia a raccontare la storia di un uomo che aveva avuto un incidente, Edy si riconosce in quel racconto. Il giorno dopo si alza dal letto senza più dolori, allunga le gambe come non aveva mai fatto, sente il terreno sotto i piedi, piega le ginocchia, butta via il bastone e arriva di corsa al bar trattoria Polato, poco distante da casa. Una rinascita, se non vogliamo chiamarlo miracolo. Anche i suoi ex colleghi di lavoro rimangono sbalorditi nel vederlo camminare spedito.

Ora Edy ha 46 anni, continua a lavorare e a coltivare il sogno di creare un mega centro per disabili. Il progetto, curato nei minimi dettagli, l’ha inviato anche a Papa Francesco che gli ha risposto invitandolo a non mollare: «So che non potrei mai vedere realizzato tutto questo – dice Edy –, mi basterebbe sapere però che qualcuno ci crede e vedere posare almeno la prima pietra».